Torres del Paine, circuito ‘O’: diario di viaggio
La Patagonia riassume il sogno di una vita per molti escursionisti. Per gli alpinisti rappresenta il fascino della sfida con pareti di granito tanto maestose quanto tecniche: Torres del Paine, Fitz Roy, Cerro Torre. Gli hikers non ambiscono ad arrivare così in alto; per loro (noi) è sufficiente camminare a lungo per godersi la vista mozzafiato di queste torri di granito, apprezzandone ogni angolazione e riflesso del sole. Teniamo i piedi sempre ben piantati in terra, e sono le nostre orme sul terreno quello che ci motiva ad andare avanti.
A fine gennaio 2020 – proprio al principio della pandemia – ho preso un volo per Santiago del Cile. Era arrivato anche per me il momento di piantare la tenda da qualche parte in Patagonia. Possibilmente far from any road.
Indice dei contenuti
Il Parque Nacional Torres del Paine
Il Circuito 'O'
Trail summary
Il mio itinerario
Giorno 1 - Hotel Las Torres - Serón
Giorno 2 - Serón - Refugio Dickson
Giorno 3 - Refugio Dickson - Campamento Perros
Giorno 4 - Campamento Perros - Refugio Grey
Giorno 5 - Refugio Grey - Domo Francés
Giorno 6 - Domo Francés - Refugio Chileno
Giorno 7 - Refugio Chileno - Laguna Amarga
Il Parque Nacional ‘Torres del Paine’
Il Parque Nacional ‘Torres del Paine’ è ubicato nel Sud del Cile, a 300 chilometri dalla città di Punta Arenas e 110 chilometri a nord di Puerto Natales, dove si trova l’aeroporto più vicino. È riserva della biosfera e area protetta nella regione di Magellano e dell’Antartide cilena.
Il Parco prende il nome dalle famosissime e iperfotografate Torri del Paine, un gruppo di torri di granito che ne rappresentano la principale attrazione turistica. Le 3 torri sono molto care agli alpinisti italiani: se la Torre Central, alta quasi 2,800 metri, venne infatti scalata per la prima volta da una cordata britannica, le Torri Norte e Sur vennero conquistate da scalatori italiani; per questo noi amiamo riferirci ad esse come Torre Monzino (la nord) e Torre De Agostini (la Sud).
Se desideri informazioni su come arrivare a Torres del Paine leggi la mia guida completa qui.
uno degli accessi al Parco
Il Circuito ‘O’
Il Circuito ‘O’ (o Circuito Macize Paine per i cileni) è un trekking di 120 chilometri che si svolge attorno al perimetro della Cordigliera del Paine. Laghi di acqua turchese, imponenti distese di ghiaccio, cavalli che corrono liberi nella prateria sferzata dal vento; il tutto sotto lo sguardo dominante delle Torri del Paine. Un itinerario di assoluta poesia per gli occhi e per il benessere del corpo.
Assieme al più breve e semplice circuito ‘W’, a cui di fatto si sovrappone nella parte meridionale, è l’itinerario multi-day per eccellenza per godere appieno delle meraviglie del parco. Io ho preferito il circuito ‘O’ per la sua maggiore lunghezza e perché attraversa l’area settentrionale del Parco, dove è possibile entrare in piena sintonia con la vera natura selvaggia di queste terre.
Seppur non richieda nessuna particolare preparazione tecnica – non troverete sezioni di arrampicata o passaggi esposti – è un trekking per escursionisti esperti e con una buona preparazione fisica. Il Circuito ‘O’ richiede intensità e concentrazione, capacità di sopportare dislivelli elevati per più giorni consecutivi e di affrontare condizioni climatiche variabili e potenzialmente estreme.
le 3 Torri viste dal Lago Torres
Circuito ‘O’ Trail Summary
START: HOTEL LAS TORRES
END: LAGUNA AMARGA
123 KM
7 GIORNI
D+: 5,800 MT
MEDIO-ALTA
Il mio itinerario
Tappa | Partenza | Arrivo | Distanza (km) | Durata (ore) | D+ (mt) | Ultimo accesso |
1 | Hotel Las Torres | Campamento Seròn | 13.6 | 3 | 410 | – |
2 | Campamento Seròn | Refugio Dickson | 18.5 | 4.5 | 530 | 3 pm |
3 | Refugio Dickson | Campamento Perros | 12 | 3.5 | 540 | 5 pm |
4 | Campamento Perros | Refugio Grey | 16 | 6 | 1,200 | 3 pm |
5 | Refugio Grey | Domo Frances | 31 | 9 | 1,450 | 7 pm |
6 | Domo Frances | Refugio Chileno | 26.5 |
8 |
1,550 | 6 pm |
7 | Refugio Chileno | Hotel Las Torres | 6 | 1.5 |
200 |
– |
123.6 | 34.5 | 5,880 |
Giorno 1
Hotel Las Torres – Campamento Serón 13.6 km
D+: 410 metri – 3 ore
Giornata di rodaggio, per prendere confidenza con la Patagonia cilena, dopo i giorni trascorsi a El Chaltén; pochi chilometri camminati e molte formalità burocratiche.
Lascio Puerto Natales con il bus delle 7. Il terminal rodoviario è decisamente trafficato di turisti, escursionisti e perditempo. Alla fine sono almeno 3 le compagnie che offrono la stessa tratta a prezzi simili (20 euro circa) e finisco per salire sul bus sbagliato. Il guidatore decide di chiudere un occhio, probabilmente terrorizzato dallo sbattimento di riaprire la stiva e cercare il mio enorme Osprey. ‘Ehi amico, tanto tutti là andiamo.’ Prendo posto in seconda fila, scelta che si rivelerà molto saggia più avanti.
Il viaggio dura circa due ore, il cielo è coperto. Cade una pioggia molto lieve, non riesco neanche a seguire le gocce che scorrono sul finestrino da quanto sono fini. In cuffia un audiolibro di Roth, ‘Il lamento di Portnoy’. Il capitolo ‘Seghe’ mi deprime e mette di buon umore allo stesso tempo. Attraversiamo l’ingresso del parco e la strada diventa sterrata, mentre in lontananza le meravigliose torri appaiono e scompaiono nella nebbia.
Arriviamo alla Laguna Amarga per primi, anticipando di poco gli altri due autobus partiti con noi. Scendo in fretta e, nonostante davanti all’ufficio di accettazione ci sia già una discreta coda, riesco a sbrigare le pratiche necessarie (nell’ordine: pagamento fee ingresso, controllo passaporto e visto cileno, controllo delle prenotazioni per i campeggi) in meno di mezzora.
Pago i pochi euro richiesti per salire sulla navetta che mi risparmierà i 7 chilometri sino al Welcome Center, l’inizio ufficiale del Circuito ‘O’.
Lascio un gruppo di turisti di giornata al negozio e comincio a camminare con entusiasmo con la benedizione del sole sullo stradello che raggiunge il trailhead, qualche centinaio di metri prima dell’Hotel Las Torres, dove tornerò di nuovo tra una settimana. Credo di essere stato il primo a partire – ne avrò la conferma più tardi all’arrivo al campamento Serón – e dunque mi godo la piacevole solitudine. Il sentiero sale ripido in direzione nord-est – l’unico vero tratto di salita di giornata. Passo rapido tra recinti e strutture private di villeggiatura, e finalmente, dopo meno di un’ora di cammino, sento di entrare davvero nel mood giusto attraversando una piccola foresta in cui gli uccelli intonano un canto per salutare l’arrivo del primo hiker di giornata.
Continuo sempre in leggera salita sino a raggiungere una prateria costellata di fiori di campo; sullo sfondo un serpente di argento si svolge sinuoso verso nord. Il fiume Paine. Alcuni cavalli si abbeverano placidi sulla sponda vicina. Sono a meno di cinque chilometri dal campeggio.
Ora il trail segue le anse del fiume e le sue acque scorrono pigre con me. Della Patagonia selvaggia e irascibile, al momento, non v’è alcuna traccia. Arrivo al campamento Serón poco prima delle 13. Mostro il mio lasciapassare e mi sistemo il più distante possibile dal rifugio di legno e dalla tenda / cucina.
Ecco che il vento si alza e all’improvviso le nuvole ricoprono il sole. La prima goccia mi sfiora il volto proprio mentre sto picchettando la camera a rete della tenda. Accelero le operazioni e faccio appena in tempo a coprire tutto e a correre all’interno del refettorio per scaldarmi una minestra prima che la pioggia si abbatta violentemente su tutto.
Mentre divoro il pranzo, cominciano ad arrivare altri hiker, più o meno il gruppo di 20-30 con cui mi ritroverò ogni sera. Bagnati fradici, mi guardano con invidia e curiosità nel vedermi asciutto e al caldo. Quando pochi minuti possono fare la differenza.
l’inizio del trekking, sullo sfondo l’Hotel Las Torres
Giorno 2
Campamento Serón – Refugio Dickson 18.5 km
D+: 530 metri – 4.5 ore
Hike di 18 chilometri tutto sommato semplice, in una natura incontaminata ma ancora senza la magia delle Torri da cui sono ancora lontano.
Mi sveglio all’alba e senza uscire dal sacco a pelo – fa piuttosto freddo – mi scaldo un the col fornelletto che bevo assieme a qualche biscotto. Alle 6.30 sono pronto a rimettermi in cammino, di nuovo per primo. Non è che sia un amante delle levatacce, è piuttosto una certa tattica quella di usare l’unico bagno del campeggio per primo, anticipando lunghe attese.
La luce del sole irrompe nella prateria davanti a me. I cavalli del giorno precedente sono ancora raggruppati sulla riva del fiume, sonnecchianti e austeri. Il sentiero costeggia il fiume Paine, è ben segnato, su una morbida brughiera che rende piacevole la fatica.
Dopo un’ora circa affronto la prima e unica salita di giornata, una collina che si alza di 200 metri per poi ridiscendere rapida sul versante successivo. Adesso la vista settentrionale è completamente riempita dall’acqua del lago Paine. Il trail curva a sinistra, verso occidente, e per la prima volta ho un assaggio del vento sferzante della Patagonia, che riesce quasi a strapparmi il materassino dallo zaino.
Per fortuna dura pochi minuti, poi tutto si placa. Raggiungo il checkpoint di Guardería Coirón alle 9, dove un giovane ranger controlla i documenti e mi sorprende dicendo che sono il quarto passaggio della mattina. Dopo la breve sosta, riprendo il cammino verso ovest su un sentiero sostanzialmente piatto, in leggera salita, che attraversa una zona paludosa dove per fortuna sono state posizionate alcune passerelle di legno che ne rendono semplice e asciutto l’attraversamento.
Entro in una brulla foresta all’uscita della quale comincio a vedere in lontananza, proprio sull’ansa del fiume alcuni edifici bassi circondati da una macchia di tende color arancio. È il rifugio Dickson, il mio punto di arrivo di giornata. Consulto il GPS: sebbene sembri proprio di fronte a me, mancano ancora 5 chilometri per arrivare. Me la prendo davvero con calma. Per la seconda volta consecutiva un cavallo pare intenzionato ad accompagnarmi nell’ultimo tratto del cammino.
Il Dicson è un rifugio molto bello, con un bella area dove viene servita la cena e un giardino ampio con erba tagliata da poco dove mettere la tenda. Esploro l’area, leggo un po’ e faccio conoscenza con gli altri escursionisti che pian piano arrivano alla meta di giornata. Poco prima del tramonto,attraversando il boschetto dietro ai bagni, raggiungo il fiume e in un attimo mi sento isolato da tutto. Il gruppo montuoso del Paine è sullo sfondo dietro al bosco e le maestose pareti di granito si tingono di quel rosa che non smette mai di lasciarci incantati.
il lago Dickson, con il rifugio sulla sponda occidentale
Giorno 3
Refugio Dickson -Campamento Perros 12 km
D+: 540 metri – 3.5 ore
Cammino breve, appena 12 chilometri, a cui sono costretto dalle prenotazioni fatte in precedenza, che come detto non lasciano molta flessibilità. Sarà anche l’ultimo giorno ‘facile’ in termini di dislivello, da domani si inizia a fare sul serio.
Mi godo il caotico ritorno alla vita del campeggio, con la cucina satura di accenti, umanità e odori di cibo in cottura. Parto comunque tra i primi; il prossimo campeggio è a detta di molti il peggiore di tutto il circuito e ho intenzione di arrivare presto per trovare una buona posizione dove mettere la tenda. Inoltre pare debba piovere presto e molto, ci informano le tabelle esposte fuori dal rifugio Dicson.
Il trail si svolge quasi interamente in un bosco. Camminare così ha per me sempre qualcosa di magico: tutte le grandi storie considerano prima o poi di attraversare un bosco. Rimango a lungo sotto la volta protettiva di un tunnel verde che sembra essere antico quanto la Terra, chiedendomi quali pensieri avessero le persone che sono passate di qua prima di me.
Un picchio scandisce il tempo dei miei passi, aiutandomi ad alleggerire un senso di solitudine che comincia a farsi opprimente.
Esco dal bosco con un tempo grigio e piovoso, appena in tempo per notare sulla mia destra le propaggini del ghiacciaio Perros che sciogliendosi da vita all’omonimo lago. Il ghiaccio è striato di un blu intenso e quasi artificiale.
La pioggia si intensifica proprio mentre arrivo al check-in del campeggio. Noto già molte tende installate: non sono le classiche tende a noleggio messe a disposizione a pagamento; ma tende private. Immagino che alcuni escursionisti abbiano deciso di prendersi un giorno di riposo viste le condizioni meteorologiche. Mi affretto a piantare la tenda sotto la pioggia battente.
Notte fredda e decisamente umida.
alba al Rifugio Dickson
fronte residuale del ghiacciaio Perros
la mia tenda sullo sfondo al campamento Perros
Giorno 4
Campamento Perros – Refugio Grey 16 km
D+: 1,200 metri – 6 ore
Il gran giorno del ghiacciaio Grey.
Stamattina tutti si affrettano a partire, si inizia a fare sul serio: ci attende lo spauracchio John Garner Pass, in una tappa da oltre 1,200 metri di dislivello.
Io me la prendo comoda dopo una notte umida e fredda in cui dormire è stato complicato. Attendo che il campeggio si liberi un po’ – soprattutto la coda al bagno – e lascio asciugare un minimo la tenda dopo l’abbondante pioggia. Non me ne preoccupo più di tanto per la verità; stasera mi tratterò decisamente bene: avrò un letto in camera, la cena servita e finalmente una doccia. Sono davvero eccitato, e non finisce mai di stupirmi questo mio stato d’animo. Adoro che nella mia vita da backpacker entri anche la corruzione morale di una doccia e un letto caldo ogni tanto.
Lascio il campeggio poco dopo le 8, e dopo poche centinaia di metri mi lascio alle spalle il bosco. Senza la protezione degli alberi mi rendo conto di quanto il vento soffi già con una discreta forza. Il sentiero sale in direzione ovest verso il John Garner Pass, e progressivamente il verde cede il passo a una morena di pietre scure in cui alcuni paletti rossi indicano la via giusta per la cima.
Una volpe dal pelo rossastro mi fa compagnia per alcuni minuti. Come Cheryl Strayed anche io percepisco in lei un sentimento umano, come se comprendesse la solitudine che mi divora. Rimane al mio fianco per un po’, poi scompare ad inseguire un odore portato dal vento per riapparire di nuovo a decine di metri di distanza, senza perdere mai la connessione intima che si è creata tra noi.
Mi trovo sul versante ancora parzialmente riparato, ma vedo già sul passo alcuni escursionisti partiti prima di me: faticano per mantenersi diritti. Il vento ha un rumore sordo, dirompente, ricorda il boato dell’aereo che decolla. Ci metto un’ora per completare l’ultimo tratto di salita – appena duecento metri di dislivello – ma è richiesta molta concentrazione e stabilità per non scivolare a valle o slogarsi una caviglia sulle pietre instabili.
L’odore freddo, pungente, primigenio dell’aria è inebriante. Odore di purezza, di ghiaccio, di natura incontaminata.
Una volta arrivato in cima al passo, dimentico la fatica dell’estenuante salita in un lampo. Il fronte del ghiacciaio Grey, alto decine di metri, si spalanca sotto di me in tutta la sua ostile maestosità. La distesa azzurrognola di ghiaccio è così vasta da confondere la vista. Devo sedermi come molti altri hiker per non esserne travolto: la testa mi pulsa forte ma non è solo la fatica sorda dell’ascesa sfiancante, è lo stordimento di una tale primordiale bellezza.
John Garner Pass
verso il John Garner Pass
verso il John Garner Pass 2
Mi attende una lunga discesa verso sud, che mi avvicinerà sempre di più alle Torri. Il sentiero si sviluppa su un costone di roccia che segue il fianco meridionale del ghiacciaio. Attraverso di nuovo un bosco all’uscita del quale mi trovo in sequenza due ponti tibetani per attraversare barranchi che declinano rapidi verso il letto del ghiacciaio. Mantengo un passo davvero turistico, non ho alcuna fretta di arrivare. Il vento su questo versante è decisamente diminuito e le nuvole si muovono rapide in cielo scoprendo e ricoprendo il sole.
Poco prima di arrivare al Rifugio Grey, supero il fronte del ghiacciaio dove molti iceberg galleggiano nel lago omonimo generato dal ghiacciaio stesso.
Arrivo alle 16, completando un hike di 16 chilometri reso faticoso da vento e dislivello. Il rifugio Grey è davvero bello e il sole è ancora alto nel cielo, mi godo una birra davanti all’ingresso principale, in attesa che mi venga assegnata la camera e di godermi quella famosa doccia calda che sento di meritare.
Ghiacciaio Grey
altra veduta del ghiacciaio dal sentiero
passaggio su ponte tibetano
Giorno 5
Refugio Grey -Domo Francés 31 km
D+: 1,450 metri – 9 ore
La giornata più lunga e intensa di tutto il circuito ‘O’ e me la sono lasciata alle spalle con relativa facilità. Forse ho camminato così veloce da impedirmi di pensare.
Mi alzo presto, ben riposato e pieno di energia. Sfrutto la mezza pensione per una ricca colazione che nei piani dovrà bastarmi tutto il giorno. Non dover smontare la tenda e preparare la colazione fa risparmiare davvero tanto tempo, riesco comunque ad essere in partenza per le 8, consapevole di avere di fronte la giornata più lunga. Riprendo il sentiero che costeggia il lago Grey e risale su un versante roccioso piuttosto ripido tra alberi spezzati e radici affioranti. Il cielo è completamente coperto e rimarrà così per tutta la giornata, con pioggia intermittente e vento forte. Condizioni non ideali per ammirare il paesaggio ma che apprezzo perché mi fanno sentire in una sorta di comfort zone.
D’ora in poi il circuito ‘O’ si aggancia e sovrappone al circuito ‘W’, e infatti aumentano decisamente le presenze sul trail.
Tengo un passo davvero elevato, quasi 6 km all’ora, nonostante i su e giù continuino senza soluzione di continuità fino al Refugio Paine grande, che raggiungo in 2 ore (km 11). Il Paine Grande si trova sulla sponda nord-occidentale del lago Pehoe ed è raggiungibile anche in barca per cominciare il percorso in direzione delle Torri del Paine. Lo trovo invaso di gruppi di turisti che armeggiano con macchine fotografiche e obiettivi in attesa che il vento liberi il cielo dalle nuvole e dalla pioggia. Ho sempre avuto repulsione per questo tipo di turismo. Paonazzi in viso, sudati e scompigliati, con scarpe da ginnastica basse totalmente inadatte ad affrontare le asperità del terreno, si raggruppano a frotte nei migliori punti panoramici come adepti di qualche culto in attesa di qualcosa da adorare, o fotografare. Hanno vite piatte e tendenzialmente felici. Per questo non sentono il bisogno primordiale che invade il mio corpo; la necessità di aggredire in modo famelico ogni centimetro di sentiero che calpesto, di prosciugare ogni stilla di luce dai panorami che vedo. Sembra quasi di essere all’ingresso del Luna Park. Con un certo nervosismo me ne vado cercando di anticipare questa marea umana pronta ad incamminarsi sul trail, senza nemmeno dare un’occhiata all’interno del rifugio che sembra davvero grande.
il Refugio Paine Grande affollato di turisti
Raggiungo il campeggio Italiano (km 16) dopo un’altra ora di cammino.La pioggia si ferma e il grigio sembra più luminoso, è quasi mezzogiorno quando mi infilo nella Valle del Francés, splendida valle isolata che porta a due dei punti panoramici più belli dell’intero circuito, il Mirador del Francés e il Mirador Britànico, dove ho intenzione di pranzare prima di ridiscendere.
Incontro molti escursionisti che procedono in senso opposto al mio: devono essere partiti dal Paine grande – dunque con 2-3 ore di vantaggio su di me che sono partito 10 km più a nord dal Grey – e ora sono pronti a ritornare nella civiltà. La salita è comunque dura, sono 600 metri di dislivello in 5 chilometri, faticosi o forse comincio io ad accusare la fatica. Impiego quasi due ore ad arrivare al punto panoramico. (km 21)
Sono infreddolito e accuso un probabile calo di zuccheri dopo 5 ore e più di 20 chilometri, ma la vista sul monte Paine Grande e sulle cime di granito che lo affiancano lascia davvero senza fiato.
Alle 15 comincio la discesa verso il campamento Italiano e da lì proseguire per qualche chilometro a est verso la mia sistemazione per la notte, Domo Francés, che raggiungo poco prima delle 18. Mi aspetta una brandina in una delle strutture ottagonali di metallo sormontate da tendoni di plastica a forma di mongolfiera, perfettamente inseriti nell’ecosistema ed in uno scenario da favola sulle rive del lago Nordenskjöld. La giornata più lunga e intensa di tutto il circuito ‘O’ – 31 km complessivi e 1,400 metri di dislivello- e me la sono lasciata alle spalle con relativa facilità. Forse ho camminato così veloce da impedirmi di pensare. Domani sarà il giorno delle Torri.
Mirador Britànico
sul circuito W è necessario smistare gli escursionisti
Domo Francés
Giorno 6
Domo Francés – Refugio Chileno + Mirador de Las Torres 26.5 km
D+: 1,550 metri – 8 ore
Ultimo giorno di cammino con l’arrivo previsto al Mirador de Las Torres, il punto panoramico per eccellenza dell’intero trekking, che lascia il meglio in fondo.
Lascio il Domo Francés poco dopo l’alba, evitando la colazione decisamente costosa e un gruppo numeroso di escursionisti giapponesi che si affollano assieme alle guide all’interno del rifugio. Solito tempo a cui sono oramai abituato: nuvole si muovono rapide in cielo coprendo il sole a intermittenza e promettendo possibile pioggia in arrivo. Il primo tratto di sentiero scorre a pochi metri dall’acqua del lago Nordenskjöld ed è a dir poco spettacolare. Mi godo la prima ora osservando gli uccelli che sorvolano il lago in cerca di pesce e un condor isolato che volteggia alto sopra la mia testa. Un’ora bella, con la testa libera dai pensieri, a mio agio con la natura. Dal versante meridionale del gruppo montuoso alcune cascate si tuffano nel bosco sottostante, ne attraverso con semplici guadi il percorso verso il lago.
Dopo un paio di chilometri oltrepasso il rifugio Los Cuernos e abbandono la pace della sponda del lago per salire verso il Windy Pass e le montagne a nord. Il cielo adesso è libero e mi godo il sole che mi scalda e conforta. Il paesaggio toglie il fiato, questa solitudine, questa immensità.
Non dura molto; sono oramai nei pressi del percorso che arriva dall’Hotel Las Torres e dall’ingresso del parco. La salita al Windy Pass sembra la coda di sciatori in attesa della funivia. L’ultimo tratto è faticoso, il sole adesso è sopra le teste e picchia forte. Molti salgono in ciabatte, un gruppo di ragazze improvvisa un balletto per Tik Tok, altri schiamazzano. Dopo 6 giorni di piacevole solitudine, sono terrorizzato dalla paura di ritrovare tutta questa fiera al lago Paine. Egoisticamente vorrei le torri tutte per me.
Arrivo al refugio Chileno (16 km) poco dopo l’una. Adagiato sulla rive del fiume che scende dal lago Paine, ilChileno è una classica struttura in legno su due piani, con l’ampia sala ristorante letteralmente invasa di turisti, mentre nel bosco che si sviluppa alle sua spalle ci sono alcuni bungalow e passerelle di legno su cui sono montate le tende a disposizione degli escursionisti che hanno prenotato. Non ho più nulla da mangiare con me, e non avendo fatto colazione sono costretto ad una sosta forzata per il pranzo. Purtroppo il rifugio è talmente affollato che non c’è possibilità di mangiare a breve. La ragazza alla cassa mi suggerisce di riprovare verso le 2.30. Da qui al Mirador Las Torres ci sono 4 chilometri e 600 metri di dislivello. Sono tentato di partire subito, anche perché le torri sembrano sgombre da nuvole almeno viste da qua sotto, ma sono troppo a corto di energie. Devo attendere. Osservo famelico quegli stessi turisti di giornata che mi avevano infastidito sulla salita estrarre dagli zaini panini, birra fresca, contenitori zeppi di cibo e prorompere in grasse, e assolutamente giustificate dal mio punto di vista, risate.
vista del lago Nordenskjöld
un’altra vista del lago
il sentiero per il refugio Chileno
Esco di fretta e saltellando mi avvicino al cancello che monitora l’ultimo orario di accesso possibile per la salita alle Torri: mancano 3 minuti alle 18. Il ranger, un ragazzo sui vent’anni basso e scuro in volto, tenta di fermarmi. ‘Sarò di ritorno prima di quelli che al momento si trovano già al punto di osservazione‘, lo rassicuro.
In effetti volo letteralmente sulla salita che avviene per i primi due chilometri all’interno del fitto bosco; il sentiero è perfettamente tracciato, perdersi sarebbe comunque impossibile considerando il flusso pressochè continuo di turisti che vanno in senso opposto al mio.
Arrivo alla Guarderia Torres pronto a litigare per proseguire ma per fortuna non c’è nessuno a controllare. Proseguo quasi di corsa: ora sono fuori dal bosco e le pendenze si fanno importanti su una pietraia piuttosto insidiosa per le caviglie e scivolosa. Purtroppo il cielo ora è completamente coperto e, proprio quando le 3 torri si spalancano di fronte a me, comincia a piovere.
Sono ormai arrivato alla morena che circonda il lago, e sul cumulo di sassi sopra di me gli ultimi escursionisti si attardano ad ammirare le altissime torri di granito.
Rallento il passo e il battito del cuore per essere pronto ad assaporare lo spettacolo che nella testa mi sono immaginato fin dalla mattina. Percorro gli ultimi metri quasi arrampicando su alcuni sassi più grandi e l’acqua verde smeraldo del lago copre tutta la parte bassa della mia visuale. Alzo finalmente lo sguardo e per un momento vengo travolto da un emozione così intensa da piangere. Le Torri sono là, dove ho sempre immaginato che fossero, maestose, inviolabili almeno per me, inavvicinabili. Cade qualche fiocco di neve mentre le nuvole circondano le montagne, disegnano coreografie da majorette accarezzando il granito scuro che scende a picco nell’acqua.
Come avevo sperato, siamo rimasti oramai pochi e mentre il giorno comincia a spegnersi mi siedo in prima fila su un grosso masso per godermi in silenzio lo spettacolo delle 3 Torri. Se dimenticassi le emozioni che la natura selvaggia mi ha regalato in questa settimana di cammino, il vento sferzante, la pioggia insistente, il sole e il ghiaccio che si sono alternati tra la terra e il cielo, la fame vorace di ogni sera e la tenda scomoda, le pagine fitte di diario in cui ho messo in fila pensieri che cercavano maligni di strapparmi dalla gioia dell’esserci ed esserci adesso. Beh se dimenticassi tutto questo potrei dire che in fondo si è trattato di un lungo e lento avvicinamento a questo momento, il che non mi differenzia dalla gran parte di turisti che visita il parco in giornata. Ma se lo dimenticassi, non potrei considerarmi un vero backpacker.
Passa un tempo indefinito, sufficiente per vedere un ultimo raggio di sole vincere la coltre di nuvole in continuo mutamento e rimanere da solo. Poi succede un’altra magia. Una volpe si avvicina e mi rimane accanto curiosa e forse in cerca di qualcosa da mangiare. È la seconda volta che mi capita, e anche questa volta mi osserva con occhi empatici, come se vi si celasse l’anima di una persona a me cara. Rimaniamo ad osservarci per qualche minuto poi, quasi a rimproverarmi che si è fatto tardi, la volpe si incammina tra i sassi in direzione del ritorno. Mi accompagna così fin quasi alla fine della pietraia, poi sparisce dietro un sasso. Scendo felice nel buio della foresta sino al Refugio Chileno dove trascorrerò la mia ultima notte nel parco.
lago Paine e le 3 torri sullo sfondo
amica volpe
la mia tenda al Refugio Chileno
Giorno 7
Refugio Chileno – Laguna Amarga 6 km
D+: 200 metri – 1.5 ore
Bello!