Cosa spinge una persona sana di mente a fare il Pacific Crest Trail

Di solito quando racconto che mi piace fare trekking e dormire in tenda – backpacking è un concetto purtroppo piuttosto embrionale in Italia, ed è uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire questo blog – vedo nascere un sorriso sul volto del mio interlocutore, un misto tra un sentimento di condivisione e un pizzico di invidia.
Le cose cambiano quando poco dopo rispondo alla domanda: ‘E in quali paesi sei stato?’ Questo mi dà l’occasione – anche se sarebbe meglio dire mi costringe – di parlare del Pacific Crest Trail, introducendo magari le paroline magiche thru-hike o long distance trail. Beh, allora noto che il sorriso si fa via via più tirato, e l’empatia si trasforma in malcelato sospetto.
Sono comprensivo di fronte a questo atteggiamento: anche il mio primo pensiero quando ho scoperto che esistevano folli (non mi viene in mente un modo più sobrio per definire un thru-hiker) disposti a camminare per oltre quattromila chilometri, in mezzo a orsi, serpenti e messicani che cercano di attraversare illegalmente il confine, è stato più o meno:

“Che problema hai, amico?”

Non l’avevo mai raccontato a nessuno ma è così.
In realtà un backpacker dovrebbe avere chiare le motivazioni che lo spingono ad affrontare una impresa impegnativa come un thru-hike. Quanto meno essere consapevole che quei mesi ti cambieranno la vita e le prospettive.
Premetto che ognuno ha le sue motivazioni. Un giorno racconterò dell’hiker che l’ha fatto per seguire la ragazza che gli piaceva e conquistarla. (Forse meglio non fare nomi potrebbe configurarsi un reato di stalking?)
Insomma dicevo: premesso che ognuno ha le sue motivazioni, può sembrare semplice indovinare cosa spinge un ragazzo di 25 anni a partire per il PCT: un grande canto del cigno di libertà prima di entrare nella ‘vita adulta’.
Più complesso trovare le motivazioni quando una scelta così importante e impegnativa viene fatta alla soglia dei 40 anni (il mio caso); l’età in cui nell’immaginario collettivo si comincia a rallentare, nel tentativo non sempre fruttuoso di costruire una routine per allontanare l’infelicità dell’età di mezzo. Nel 2015 avevo un lavoro che mi piaceva, in un’azienda in cui tanti sognano di lavorare, una fidanzata fantastica e molto paziente. Era da poco uscito il mio primo libro. Ecco, non c’erano gli elementi giusti per mandare tutto a monte e sparire per un po’ dalla circolazione?

“Se ne è andato al culmine del successo”

Sto scherzando, ma neanche troppo. Quanti ne vedo, miei coetanei, a riporre la propria vita nella comfort zone di un lavoro da manager, con una famiglia e dei figli – punto a favore – e una esistenza parallela sui social e le serie di Netflix. Ho la netta certezza che siano più felici di me, ma che posso farci se l’inquietudine mi consuma e solo il movimento riesce a darmi un poco di tranquillità?
Sicuramente questo è un pezzo della cornice.

ula circuit

Apr ’15: un rispettabile manager

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3 mesi dopo: un homeless thru-hiker

Un altro pezzo del puzzle, del mio puzzle, sta in quegli ambigui ma affascinanti personaggi che hanno trascorso la loro vita a viaggiare, a esplorare, a conquistare. Persone pericolose, che con protervia hanno insistito per inviare un lascito del loro passaggio, in grado di condizionare tante menti giovani e influenzabili come era la mia a dodici anni.
Sognatori romantici, vagabondi incalliti, potenziali avventurieri di fantasia.
Melville, Verne, London, Conan Doyle, Stevenson, Muir, Thoreau. O Alexander Supertramp e Cheryl Strayed. È indubbio che Into the Wild mi abbia dato il colpo di grazia. Siamo o non siamo quello che leggiamo e vediamo?
Oggi i viaggiatori sono certamente più cool di allora: hanno nomi accattivanti e ci ispirano con un video di TikTok o con lungometraggi su Youtube che farebbero invidia alle migliori produzioni hollywoodiane. Spesso sono donne, a conferma che il backpacking non fa sostanziali differenze di genere.

Alcuni dei colpevoli

Poi c’è il grande senso della sfida. Da bambino ero sempre pronto a mettermi in sfida con qualcosa: nello sport, nello studio, nella musica. Era come se sentirmi in sfida con qualcuno o qualcosa mi costringesse in qualche modo a metterci tutto il mio impegno. Crescendo mi sono reso conto che sono proprio le nuove sfide a mantenerti giovane, affamato e vivo. Anche se continuo a non farcela mai.  Non ce l’ho fatta nemmeno sul Pacific Crest Trail, perchè mi sono fermato a trecento miglia dal Northern Terminus.

Un altro ingrediente che va messo nella ricetta è l’amore per la natura. Questo è un tratto comune a ogni hiker che ho incontrato sul PCT. Un amore incondizionato, quello che ti permette di sopportare il caldo del deserto, le giornate di pioggia insistente e le notti da solo nel buio della foresta.
E l’amore per gli altri. La sensibilità verso gli altri, sia verso quelli che come te sono bisognosi di cibo e acqua, sia verso le persone che ti aiutano ad andare avanti ogni giorno con qualcosa da mangiare, offrendoti un passaggio in macchina o un letto comodo nelle loro case. Condividere con loro quello che il trail regala è una delle esperienze più belle che ho provato.

la verità: si può resistere a questo?

La verità è che non c’è nulla di mentalmente in ordine che giustifichi questa avventura. Il PCT è una maledizione. Te ne parlano una sera, in un bar infame del Sud America mentre ti bevi una birra Presidente. Ti dicono “Sai amico, sto pensando di fare il Pacific Crest Trail.” Per quella sera non ci dai troppo peso, è solo una conversazione tra ubriachi. Ma poi vai ad informarti. Ti capita tra le mani il libro di Cheryl Strayed. Poi cominci a leggere tutti i blog di quelli che l’hanno fatto (ottimo strumento per migliorare l’inglese tralaltro). Quando inizi ad addormentarti tutte le notti sognando i tramonti nel deserto, le distese innevate sulla Sierra Nevada e le distese di ossidiana dell’Oregon… la maledizione ti ha preso ormai. Ora uscirà anche il film. Non andatelo a vedere. Non sognate l’avventura. Vivetela!
Per la cronaca, fare il Pacific Crest Trail e gli altri long distance trail fatti dopo, non mi hanno reso né più felice né migliore. Credo che anche questo elemento vada messo sul tavolo. Ma è stato un bel cammino, finora.

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