Alla ricerca del grizzly nel Grand Teton National Park

Se c’è un luogo sulla Terra dove durante un trekking è molto probabile trovarsi faccia a faccia con un grizzly questo è certamente il Wyoming. In macchina lo pronuncio a ripetizione, allungando a dismisura le vocali come se fosse una cantilena – Uuuuuaaiomiiiiiing Uuaaaaiomiiiing – con un discreto senso di appagamento.

Il Nord America mi riporta sulle tracce dei racconti duri da McCarthy, delle piste selvagge su cui si muovevano i grandi mammiferi e gli uomini a caccia al loro inseguimento. Praterie sterminate su cui pascolano mandrie di bisonti, cavalli selvatici , laghi, corna di alci messe ovunque e montagne imbiancate sullo sfondo. Le Rocky Mountains si allontanano alle mie spalle e davanti a me si spalanca il panorama mozzafiato del Grand Teton National Park.

Grand Teton NP

 l’ingresso del Parco Nazionale 

Una notte agitata

L’urlo più terrificante mai sentito in vita mia squarcia il concerto di rumori notturni. E’ come un ululato ma c’è qualcosa di innaturale in tutto ciò. L’eco rimbalza nella foresta tutto intorno alla tenda; qualsiasi cosa sia, è ovunque.
E’ che sembra… sembra umano ecco.
Ricordo di aver letto da qualche parte che le iene emettono un rumore simile, ma non dovrebbero esserci iene in questa parte del mondo. Mi accuccio ancora di più nel tepore del sacco a pelo, niente al mondo potrebbe tirarmi fuori da qua. Che vengano a prendermi qua sotto.
Solo due ore fa ero seduto davanti al fuoco guardando scendere la volta stellata, ma adesso è tutto diverso e non mi sento più come un boyscout in campeggio con gli amici.
Non è il solito campeggio sull’appennino, qui cose mangiano altre cose.
Animali combattono battaglie e ogni notte ci sono delle perdite. Forse quell’ululato straziante è solo la litania per qualcosa che muore.
Ora tutto si è interrotto, all’improvviso come è cominciato. Sento solo il latrare dei cani della prateria e lo squittio di scoiattoli e castori.
Riesco a dormire qualche ora.

Wyoming 1

Wyoming at his best 

Verso Emma Matilda Lake

Il cielo limpido di questa notte è il preludio ad una giornata meravigliosa. Mangio qualcosa in previsione della lunga camminata che mi attende.
Salirò lungo la Pacific Creek Road per congiungermi dopo un paio di miglia al sentiero che porta ad Emma Matilda Lake, il mio punto d’arrivo. Il freddo è intenso e la temperatura è ancora sotto lo zero.
La prima parte del percorso è in una piccola vallata che comincia pochi metri dopo il piccolo bosco dove ho dormito stanotte: è completamente esposto al sole e dunque non dovrebbero esserci problemi di neve eccessiva. Una volta arrivato al lago invece dovrò circumnavigarlo per raggiungere il bosco sulla sponda opposta: troverò sicuramente molta neve. Fa freddo, ma i colori del bosco e delle montagne sono vivi e brillanti. Sto camminando dentro un puzzle della Ravensburger e ne fotograferei ogni pezzetto.

wyoming italian supertramp

pronto alla partenza 

Impronte sulla neve

Non vedo impronte di scarpe sulla neve mentre ne vedo molte di orso. Questo scatena un moto d’orgoglio: sono il primo a passare di qua dopo l’inverno. E’ affascinante sapere di essere in qualche modo una guida per quelli che verranno dietro di me, ma la strada si fa via via più difficile e gli alberi caduti mi costringono ad abbandonare il sentiero segnato per improvvisate deviazioni circolari.
Sono circondato dalla neve e la foresta scricchiola come un palazzo le cui fondamenta hanno ceduto. Prima di morire gli alberi lottano per ore, giorni, a volte anni.
All’improvviso di nuovo quell’ululato terrificante. Di giorno fa decisamente più impressione perché ecco, di notte, sai che nella foresta succedono strane cose. Te l’hanno sempre raccontato: molti animali escono a caccia la notte. Dunque ti dici: “Ok, io resto dentro la mia tenda e quando spunta il sole tutto sarà finito”.
Ma in pieno giorno fa tutto un altro effetto. Fa paura per davvero.
Come la notte precedente, dopo un paio di minuti tutto cessa.

impronte di orso

impronte e orme

Qualcosa sta per succedere

Riprendo il cammino cercando di aggirare il bosco, e questo mi porta a destra rispetto al sentiero, proprio al centro di una radura verde che si estende a perdita d’occhio ed è limitata ad est da un corso d’acqua. Un branco di cervi si sta abbeverando al fiume, e nonostante sia ad almeno un centinaio di metri e cammini sull’erba percepiscono la mia presenza e scappano nella direzione opposta. Dopo un miglio succede qualcosa.
Sto per incontrare un orso.
Adesso è difficile da spiegare, ma lo so prima che accada: è come se ci fosse una sorta di elettricità statica nell’aria. Sul momento non capisci cosa sta succedendo, ma con il senno di poi ti rendi conto che hai avuto una premonizione.
Rallento cercando di capire perché il mio cuore batte all’impazzata e sono in uno stato di frenetica eccitazione quando, proprio nel mezzo della radura di fronte a me scorgo una macchia marrone. E un’altra più giù, sul bordo del fiume. Senza alcun timore taglio in diagonale nell’erba bagnata quando scorgo proprio di fronte a me, a forse duecento metri, un terzo, gigantesco, punto scuro. E’ talmente lontano che è difficile distinguere cosa sia, ma lo scoprirò molto presto perché gli sto finendo in braccio.
La logica mi dice che non possono essere orsi, non tre insieme a pascolare tranquilli come bisonti, ma irrazionalmente sono certo di quello che sono.
Continuo a camminare lentamente tenendo sotto controllo l’animale più grande.

orsi

da rimanere senza fiato 

Gioia e commozione

E’ enorme. Dalla dimensione e dal colore biondo del pelo intorno al viso è certamente un grizzly. La sua pelliccia riluce dorata nel riflesso del sole, quasi come se le punte del pelo fossero argentate. Gli altri due sono più lontani e sembrano più piccoli, anzi uno sicuramente lo è. L’altro sul bordo del fiume è troppo lontano per capirne con certezza le dimensioni.
Oramai sono a meno di cento metri dal più grande e sono combattuto da numerosi sentimenti.
Gioia e commozione per avere di fronte l’emblema della vita selvaggia che da sempre – assieme al lupo – accende la passione del mio spirito libero.
Preoccupazione per il pericolo che sto correndo.
Incosciente fiducia nell’essere straordinario che ho davanti, che associo da quando sono bambino a lealtà, purezza d’animo, libertà e onore. Proprio non ce la faccio, nonostante tutto quello che ho letto e che so, ad averne paura.
E’ l’unica sensazione che non riesco a provare, la paura.

orsi wyoming

uno dei piccoli si allontana

A tu per tu col grizzly

Nessuno dei tre mi ha ancora notato e sono già ad una distanza inferiore a quella che prima aveva fatto scappare il branco di cervi. Non sono sottovento e dunque è possibile che non abbiano ancora sentito il mio odore. Per quanto riguarda l’udito, immagino che quando sei il più grande e grosso predatore dell’habitat tu non abbia bisogno dell’udito più fine a captare i pericoli.
Scatto qualche foto e mi avvicino ancora di qualche metro: è arrivato il momento di avvisare della mia presenza.
Cioè il momento della verità.
Come da testo accademico, inizio a parlare ad un compagno immaginario a voce alta e ferma. Il primo a notare qualcosa di diverso è l’orsetto più piccolo e lontano da me: non ha alcuna intenzione di indagare sulla provenienza del rumore e scappa rapido verso il fiume. L’altro vicino al ruscello è davvero lontano per avermi sentito, ma intuisce la presenza di un estraneo e s’allontana lento e annoiato nella stessa direzione del giovane cucciolo.
La mamma è l’ultima ad accorgersi di me. Almeno è quello che sembra, ma io sono certo che sapesse da tempo che mi trovavo lì. Semplicemente era troppo indaffarata a mangiare qualche leccornia per preoccuparsene.
Avete mai fatto una passeggiata in un campo appena fiorito in primavera? E’ pieno di api e sappiamo bene che potrebbero pungerci. Ma non sarà certo un centimetro di pungiglione a farci perdere il piacere della passeggiata. Non ce ne accorgiamo neanche. Ma se una comincia a ronzare intorno a noi rumorosamente, allora ce ne rendiamo conto.
Per un grizzly credo sia più o meno la stessa cosa.
L’animale mi guarda di traverso come a dire. “Embè?” e si alza sulle poderose gambe posteriori annusando l’aria. Per almeno venti secondi – o comunque un tempo simile ad una eternità – restiamo così, uno di fronte all’altro mentre qualcuno, nella stanza dei bottoni, decide se devi vivere o morire. Il mio cuore non batte un colpo, ma credo che anche questo sia previsto dal copione. Finalmente, dopo uno sbadiglio tra l’annoiato e il sospettoso, l’orso si rimette a quattro zampe e inizia a correre verso il fiume.

grizzly

esiste in Natura qualcosa di più grandioso?

Mi tolgo lo zaino, poso la macchina fotografica, mi siedo nel prato e piango.
Non mi viene in mente niente di meglio da fare.

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