Translagorai in solitaria: la severa bellezza della roccia (parte 2)
Giorno 3 – LAGHETTI DI LAGORAI – FORCELLA COLDOSÈ
18 km, D+ 1,440 metri
Una notte quasi senza pioggia mi traghetta in un’alba serena, carica di una tensione sottile.
Il sole nascente tinge di rosa le cime sopra la mia testa. Io sono occupato in cose più terrene: bevo il the mangiando una barretta e qualche nocciola che accompagnano sempre la mia colazione.
Il silenzio è un rombo assordante: cerco di immaginarlo come una scia azzurra che si espande nella testa e anestetizza i pensieri tristi che si rincorrono in modo ossessivo. Pochi minuti di meditazione per ricordarmi di osservare quello che ho intorno in modo non giudicante, sopraffacendo gli schemi cognitivi più radicati che mi dicono che per essere felice dovrei essere altrove. Non sono mai stato particolamente efficace nel qui e ora, soprattutto la mattina presto.
Disfo la tenda con la solita lenta goffaggine, sempre come fosse la prima volta che trascorro una notte a fare campeggio libero.
Ritorno in forcella per riprendere il sentiero 321.
alba sulla valle dei Laghetti di Lagorai
Una bellezza da contemplare
Il sentiero conduce sopra i 2,600 metri per valicare il gruppetto di cime che incornicia come una platea la valle dei Laghetti che ho appena risalito; per passare sull’altro versante arrampico praticamente in libera una parete di qualche metro, non essendo presente una corda fissa d’aiuto. Alle 8 di mattina già mi viene richiesto un surplus di concentrazione per non volare di sotto, il tutto senza aver preso il caffè!
Il panorama che si vede dopo lo svalicamento ha dell’incredibile: un paesaggio lunare fatto di immense placche rocciose che si susseguono apparentemente senza fine, punteggiate da gallerie scavate nella roccia che fungevano da rifugio per gli alpini durante la guerra.
Una bellezza severa e arcaica, una panorama di quelli che John Muir raccontava nei suoi racconti sulla Sierra e che gli facevano venire voglia di sdraiarsi per ore in contemplazione.
Proseguo con il solo senso dell’orientamento alternandomi tra le placche di porfido dove il sentiero non è tracciato e alcuni tratti erbosi dove è invece chiaramente visibile la traccia da seguire.
Dopo aver aggirato il rocciosissimo Cimon di Lasteolo (2,560 metri) e oltrepassato la cima Litegosa (2,648 metri) il sentiero scende ripido verso la forcella medesima (2,261 metri) dove c’è il bivacco Nadia Teatin, un gioiello incastonato nella roccia.
il bivacco Nadia Teatin
Pranzo e relax in baita
Ho percorso solo sei chilometri, rallentato da alcuni passaggi difficoltosi, e continuo su un tratto esposto, una cengia che fa da anfiteatro alla Busa di Sadole, dove un cavo d’acciaio ben posizionato consente di assicurarsi o avere un semplice punto d’appoggio. Il sole alto manda bagliori quasi poetici sulla Cima d’Asta che si staglia verso sud.
Mi lascio alle spalle la paura del vuoto strapiombante – non solo fisico ma anche e soprattutto figurato.
Transito dal Passo Sadole (2,066 metri) tra residui di costruzioni militari e sentieri che portano sul Monte Cauriol e proseguo sul sentiero 320, una comoda discesa verso la Val Sadole tra prati verdissimi e mucche al pascolo.
È un po’ come ritornare nella civiltà: questa stretta valle è meta di escursionisti giornalieri in arrivo dalla Val di Fiemme. Incontro alcune famiglie che si godono una bella passeggiata sotto il sole, con i bambini schiamazzanti che tormentano le placide mucche sdraiate sugli alpeggi. Per la prima volta in 3 giorni ridiscendo sotto i 2,000 metri.
Mangio un’abbondante porzione di spätzle alla Baita Cauriol (1,600 metri) che si trova all’arrivo della strada carrabile che arriva dalla Val di Fiemme, e vi trovo altri hikers impegnati a percorrere la Translagorai, una coppia tedesca sui 50 anni. Il loro punto di arrivo di giornata è proprio la Baita Cauriol dove pernotteranno, dunque la loro tappa per oggi è già terminata.
Io invece proseguo, dopo aver preso un secondo caffè assieme ad una fetta di strudel. Questo jolly piuttosto inatteso mi permette di conservare il cibo che ho nello zaino: a questo punto non dovrei avere problemi se arrivo al Passo Rolle entro domani sera.
Una salita brutale
La salita verso il Monte Cadinon è brutale, ed è resa ancora più faticosa dalla digestione in corso: 600 metri di dislivello in un paio di chilometri. Esco dal bosco intorno ai 2,000 metri per ritrovare le placche di porfido che oramai conosco bene. Sudo molto sotto il sole del pomeriggio e bevo acqua in abbondanza. Mi rimane solo un litro a disposizione ma non manca molto per arrivare nei pressi di Cima Moregna dove conto di passare la notte. È l’unico tratto della Translagorai che ho già percorso in passato.
Arrivo alla forcella Coldosè (2,182 metri) intorno alle 17 e mi si spalanca alla vista il bellissimo Lago delle Trote con le sue acque turchesi, un centinaio di metri di dislivello più sotto nel versante settentrionale: noto alcune tende verdi intorno ad una tenda refettorio decisamente ingombrante. Un gruppo di boyscout. Sorrido pensando a tutti quei chili che ti fanno portare sulle spalle da ragazzino, io che oramai sono un devoto della filosofia ultralight.
Lago delle trote
Trail magic al bivacco
Scendo al bivacco Coldosè per fare scorta di acqua alla fontana che ricordo esserci. Nel bivacco ci sono altri escursionisti – una famiglia con 3 bambini piccoli e una coppia padre e figlio di Parma – che già si dedicano alla cena: stanno cucinando un risotto e l’odore è decisamente invitante. Oramai avvezzo ad approfittare della magia del trail mi siedo sulla panchina esterna al modernissimo bivacco fingendo di ammirare la Cima d’Asta proprio di fronte a me che comincia a tingersi di rosa. In realtà sto aspettando che mi offrano un assaggio di risotto!
Ho il mio risotto in cambio dei miei racconti sul Pacific Crest Trail, ed è più che un assaggio.
Valuto la possibilità di rimanere in bivacco per la notte: mentre rifletto noto salire dalla parte del Rifugio Refavaie una coppia di escursionisti e immagino siano diretti anche loro quassù, per cui decido di rimanere sul mio piano originale.
Solo pochi minuti di cammino semplice mi separano dal Lago Brutto dove arrivo quando il sole è oramai già scomparso. Il lago Brutto è incastonato in una stretta valle circondato da alti picchi: di fronte il valico si staglia come una barriera di sassi quasi a sconsigliare il passaggio. Mi ricorda l’accesso al Regno di Mordor del Signore degli Anelli. Per la verità non ci sono molti spazi utili dove mettere la tenda, ma non me ne do conto più di tanto. La sera pare essere finalmente serena e calda, e dunque dormirò a terra direttamente sul materassino come i cowboy, con la volta stellata a tenermi compagnia.
Giorno 4 – Forcella Coldosè – Bivacco Aldo Moro
14 km, D+ 1,370 metri
La giornata più dura si è conclusa inaspettatamente in un trionfo di solidarietà e amicizia. Mentre fuori imperversa il temporale siamo addirittura in cinque a condividere i 7 metri quadrati del bivacco Aldo Moro a 2,565 metri di altezza.
Ma meglio mettere un po’ d’ordine.
Stamattina, senza lo stress della tenda da smontare, me la sono presa davvero comoda, gustando nel guscio del sacco a pelo il tepore dei primi raggi del sole che si infilavano dalla forcella Moregna.
Inaspettata compagnia
Ad un tratto sento alle mie spalle una voce che mi pare di riconoscere: è Guido, il ragazzo di Parma che ieri al Coldosè mi ha offerto il risotto. Ha abbandonato il padre a ridiscendere verso la malga Valmaggiore per tornare in Val di Fassa e ha deciso di proseguire fino al Passo Rolle, dove conta di arrivare in serata come me. Sperava di trovarmi ancora qua, e contava fiducioso sul fatto di condividere con un altro hiker la sezione più difficile del cammino.
Di fronte a noi il tratto più duro e per certi versi mitico della Translagorai: una distesa sassosa fin dove si perde lo sguardo, sul versante settentrionale delle cime principali del Lagorai: Cima Cece, Cima Valbona, Coston di Slavaci: sempre sopra i 2,500 metri.
Sono contento di avere compagnia per un tratto, anche se sento che tra quei giganti di porfido il desiderio di rimanere da solo sarà predominante.
Il sentiero è il 349. Abbandonato il lago ci presentiamo al cospetto del muro di sassi che ieri sera mi aveva fatto dubitare della possibilità di svalicarlo: da vicino il pendio sembra più dolce, quanto meno affrontabile.
La salita è subito molto dura, con pendenze superiori al 30% e il rischio di scivolare sulla ghiaia: procediamo con attenzione su una serpentina stretta per cercare di ridurre un minimo la pendenza.
Una volta in forcella (2,397 metri) il sentiero si addolcisce e con un magnifico mezza costa ci porta alla Forcella di Valmaggiore (2,108 metri) che ospita il confortevole Bivacco Paolo e Nicola. Scendendo lungo il versante meridionale per qualche decina di metri si trova la sorgente dove facciamo scorta d’acqua: è possibile che questa sia l’ultima sorgente di giornata.
Al ritorno in forcella un pizzico di trail magic: alcuni escursionisti che ci hanno preceduto hanno lasciato del caffè macinato. Indugiamo al bivacco a goderci un caffè forte preparato con la moka del rifugio.
il bivacco Paolo e Nicola
Ripartiamo per risalire la sassosa, ripida, ma superlativa vallata di Cima Cece.
Lo scenario cambia radicalmente e a far da contorno al nostro incedere non ci sono più le ampie e docili vallate punteggiate da animali al pascolo, ma solo i profili severi del porfido, inscuriti dal cielo grigio che ci sovrasta. Sembra quasi che la Translagorai voglia punirci per l’azzardo di essere quassù, infliggendo continue scosse elettriche alle ginocchia che perdono la presa su un pavimento fatto di detriti morenici e più grandi colonnati di porfido.
Io e Guido ci distanziamo di qualche metro, ognuno col suo passo, ognuno concentrato sulla fatica pura e il silenzio poetico del luogo. Non c’è traccia di vita se non i resti di vecchie lamiere e fili spinati: viene da chiedersi come sia possibile che montagne così belle siano state funestate dalla guerra, recintate, prese d’assedio. Mi scopro a mormorare una preghiera atea per i giovani che hanno perso la vita quassù, o anche solo per le sofferenze che devono aver passato.
Tra i giganti di roccia
Dopo una buona mezz’ora mi volto e scorgo il mio compagno distanziato di un centinaio di metri: il suo sguardo sembra fisso sul Campanile di Cece che si staglia solitario lungo la salita.
La fatica è estrema, e il cammino instabile accende un dolore sordo nel mio ginocchio destro.
All’imbocco della deviazione che porta alla vetta di Cima Cece decidiamo di fare una deviazione per salire ai 2,754 metri della sommità. Da lassù il panorama è quasi noioso nella sua straordinaria ripetitività. Siamo circondati dalla pietra. Preoccupanti nuvole scure da est turbano un poco i nostri pensieri.
Mangiamo qualcosa: un po’ di pane e formaggio e mi prendo un Brufen per calmare il dolore. La giornata è ancora molto lunga.
Di nuovo sul 349 affrontiamo alcuni tratti esposti su cui il mio compagno procede con esagerata cautela e valichiamo alcune forcelle ripide e franose con qualche corda fissa che offre supporto nell’arrampicata. Superata la forcella di Cece si comincia ad intravvedere la Val d Primiero e la Val Venegia in lontananza. Il cielo è sempre più scuro e incombente. Nella discesa rimango io indietro e scatto alcune foto a Guido: riguardandole ora è impressionante il confronto tra la sua figura snella e l’imponenza di questi giganti di roccia.
Infuria il temporale
Mancano ancora 12 chilometri al Passo Rolle: con l’intero pomeriggio davanti sembrerebbe fattibile anche se stiamo procedendo più lenti del previsto e il mio ginocchio fa male nonostante gli antiinfiammatori. Penso di poter mettere questo pezzo di trekking tra i 5 più duri che abbia mai affrontato.
Il mio compagno è rimasto quasi senza acqua, qui è molto complicato trovare una sorgente e anche volendo tentare non ne abbiamo il tempo. Siamo oramai sovrastati dalle nuvole e il tuono romba già alle nostre spalle: a breve l’acqua non sarà più un cruccio, ne avremo fin troppa temo. Dobbiamo affrettarci e toglierci da queste placche prima che la pioggia le renda impraticabili. Le nuvole cominciano ad avvolgere le cime rendendo più difficile identificare i segni biancorossi del sentiero, e più volte finiamo più a valle rispetto al sentiero originale. Ma perdersi è per fortuna quasi impossibile. Il senso di isolamento è spettrale e per certi versi magnifico.
Poi comincia.
La tempesta è violenta e un paio di fulmini cadono vicini, poco più a valle sulle pietre. La pioggia è fredda e penetra come aghi sulla pelle. Potrei indossare il giacchino antipioggia, ma preferisco accelerare il passo per togliermi dal traverso prima che si trasformi in uno scivolo di pietra.
Perdo di vista Guido e ora, riscrivendo questo diario, mi rendo conto di essermi comportato come un perfetto coglione, lasciandolo indietro nel potenziale pericolo. Provo a chiamarlo ad alta voce ma il temporale urla più forte. Non odo alcuna risposta.
Il bivacco
Il vento muove oramai i cumulonembi senza direzione e in uno squarcio scorgo un puntolino rosso in lontananza: il bivacco Aldo Moro. Accelero – altro errore sciocco, perchè cadendo in alcuni passaggi su grandi massi potrei farmi decisamente male – perchè le nuvole stanno di nuovo nascondendo tutto intorno a me e le tracce biancorosse del sentiero sono oramai perdute nella nebbia.
In qualche modo arrivo al bivacco, una scatoletta di latta rossa che non sembra poter resistere alla furia della natura: fatico all’inizio ad aprire il portello di entrata reso scivoloso dalla pioggia. Eccomi al riparo finalmente. Mi spoglio, mi cambio e scaldo un po’ d’acqua per un the ristoratore. Intanto rimango sulla soglia ad osservare verso il basso nella speranza di vedere la sagoma di Guido emergere tra le nuvole.
Non lo vedo, ma lo sento urlare poco sotto. Ed eccolo arrivare bagnato, infreddolito e felice di essere al riparo.
Non parliamo molto, riscaldiamo una minestra dopo il the e poco dopo le 17 decidiamo di fermarci in bivacco per la notte. Il tempo sta migliorando, ma la discesa sulle pietre sarebbe impegnativa e lunga.
in vista del bivacco prima del temporale
La compagnia di allarga
Siamo già nei sacchi a pelo a riscaldarci e prepararci a dormire quando sentiamo voci divertite sopraggiungere da fuori. Poco dopo la porta del bivacco si spalanca ed entra… un cane!
Il primo a presentarsi è proprio lui, che rimane sulla soglia a sgocciolare l’infinità di acqua che il suo pelo ha trattenuto. Ing. Mario Cane, un nome curioso che mi da qualche indizio sulla compagnia goliardica con cui condivideremo la notte: Tommaso e Andrea sono due amici della Valsugana che stanno facendo come me la Translagorai ‘integrale’ da Vetriolo. Scendo dalla branda per presentarmi e noto che, seppur stia continuando a spiovere, oramai le nuvole si stanno diradando verso la valle. Il temporale è terminato. Mentre il cane di Tommaso corre a perdifiato sulle rocce pericolosamente sospese nel vuoto nella parte retrostante del bivacco, il panorama si apre a nord ovest mostrando una veduta mozzafiato del Latemar e del Catinaccio, dietro il Coston di Slavaci che ci sovrasta. Pare incredibile che fino a poche ore fa fossi spaventato da tanta meravigliosa ricchezza!
I nuovi arrivati – che a differenza mia avevano pianificato la sosta notturna al bivacco – sono pieni di cibo: addirittura un salame quasi intero, formaggi locali e vino che offrono al resto della compagnia. È davvero un momento di gioia e condivisione dopo la fatica che ci ha resi tutti stremati – ad eccezione dell’Ing. Mario – mentre il sole fa capolino a completare la festa poco prima del tramonto. Chiacchieriamo a lungo, come quattro amici in campeggio seduti sui massi ancora bagnati, mentre la sera pian piano estende il dominio sopra ogni cosa.
Giorno 5 – Bivacco Aldo Moro – Passo Rolle
8 km, D+ 220 metri
Ho dormito male sulla branda cigolante, senza recuperare appieno le energie consumate, e sono in uno stato fisico piuttosto pietoso. Il ginocchio fa male e un’unghia che ho picchiato scivolando su una roccia è nera e gonfia di sangue. Dovrei bucarla prima di rimettermi le scarpe che faccio fatica ad indossare.
Un altro anti infiammatorio è l’opzione più semplice e meno dolorosa, penserò all’unghia più avanti.
Esco dal bivacco per respirare aria fresca e trovo Tommaso seduto su una roccia ad osservare l’Ing. Mario che rincorre qualcosa tra i massi. Il panorama a nord è mozzafiato.
La sofferenza è nella discesa
Mancano appena 7 chilometri per arrivare al Lago Colbricon e da lì al Passo Rolle, quasi tutte in discesa su una pietraia infinita, e so che non sarà proprio una passeggiata.
Il sentiero scende lungo le immense placche porfiriche che in questa parte sono nella Riserva Integrale del Parco Naturale Panaveggio.
Dopo Forcella di Ceramana (2,426 metri) si inoltra nella valle sassosa del Colbricon e comincia a perdere quota. Il porfido ancora umido di pioggia è davvero scivoloso, tutti a turno rischiamo di cadere malamente. Penso distrattamente a come sarebbe stato ieri se non fossi arrivato al bivacco al principio del temporale.
Rimango indietro rispetto ai miei compagni, frustrato dal dolore al ginocchio e dalla mia incapacità di tenere in discesa lo stesso ritmo che riescso a tenere in salita.
Arrivo alle sponde del lago dopo quasi tre ore, e trovo Tommaso e Andrea immersi nel lago a godersi il brivido refrigerante dell’acqua.
Solo un chilometro ci separa dalla strada e dal Passo.
Ciao,
innanzitutto complimenti per tutto quello che fai, questo racconto rende l’idea della difficoltà della translagorai, ma trasmette la voglia di farla.
Volevo farti alcune domande visto che vorrò percorrerla il prossimo anno.
Per raggiungere l’inizio del percorso serve necessariamente il mezzo proprio?
Che app o cartina hai usato per orientarti? e se funziona offline?
Con un’ottima attrezzatura è fattibile in solitaria anche a chi è meno esperto di te?
Consigli qualcosa in particolare da portare con se che ti è mancato?
Grazie mille!!!
Ciao Tommy, innanzitutto ti sono grato per il messaggio e spero che i miei articoli possano esserti utili per affrontare al meglio la Translagorai, uno dei trekking più belli e significativi che ho fatto!
Rispondo velocemente alle tue domande:
1. per arrivare allo chalet Panarotta in estate puoi utilizzare la navetta da Vetriolo o Levico Terme, le info le trovi qui https://www.visitvalsugana.it/it/news/bus-navetta-levico-panarotta_8009_idn/
in alternativa naturalmente puoi farti accompagnare da Vetriolo o Levico io avevo un amico in zona che mi ha dato uno strappo.
2. io utilizzo maps.me che funziona offline. ti scarichi la cartina e metti i segnalibri nei punti salienti e hai sempre gps aggiornato e puoi calcolare distanze dislivelli e tempi residui per ogni tratta. ce ne sono altre ma io mi trovo benissimo con maps.me.
Cartina cartacea invece Kompass 626 catena del lagorai
3. certo. è fattibile da chiunque abbia un minimo di esperienza di trekking e campeggio in tenda. la logica è sempre quella del ‘HIke your Own Hike’: vai col tuo passo, con i tuoi tempi, porta quello che ti serve ma viaggia il più leggero possibile. ci sono anche un paio di bivacchi molto belli dove dormire, una piacevole alternativa alla tenda dove magari conoscere altri escursionisti e mangiare come si deve (sedendosi ad un tavolo ;-))
4. nulla in particolare. ti do solo un consiglio sul base weight (peso totale dello zaino escluso cibo e acqua): non superare i 7-8 chili!
spero di aver risposto alle tue domande, la Translagorai è una esperienza bellissima, goditela.