Quello che devi sapere prima di prendere un bus in Ecuador

Ecco la classica domanda del viaggiatore: vale la pena di muoversi in autobus in Ecuador?
La risposta è: che ne valga la pena o meno, un backpacker non ha poi così tante alternative. In Sudamerica muoversi senza un mezzo proprio significa fare l’autostop o prendere un autobus. I treni praticamente non esistono e l’autobus si erge a mezzo democratico di trasporto – oltre che alla portata delle nostre tasche – e permette davvero di vivere al meglio il paese.
Anche se non il più rapido: difficilmente in Ecuador proverete l’ebbrezza di superare i 50 km all’ora. Ma poco importa, i paesaggi dal finestrino sono così belli che i tempi di percorrenza non sembrano mai così terribili. Beh, oddio, quasi mai.

Ma muoversi in autobus in Ecuador può essere soprattutto molto, molto divertente, come potrai scoprire tra poco!

L’imbarazzo della scelta

 

O forse sarebbe più corretto dire: il grande caos della scelta.
Cominciamo col dire che in Ecuador ci sono migliaia di autobus.
Il Terminal Carcelén di Quito è il luogo con la massima densità di popolazione e autoveicoli della già piuttosto popolosa città.
Decine di compagnie coprono le stesse tratte, con tariffe piuttosto variabili: le tre ore di viaggio da Quito ad Ambato possono costare venticinque centesimi di dollaro con la Quito Express o due dollari con la Ambato Enterprise.
Non solo: poiché il servizio di trasporto è gestito da un manipolo di ragazzetti appena maggiorenni  può capitare che – a seconda di quanto è furfante il moccioso che passa in corsia per fare i biglietti –i turisti vengano sottoposti ad un prezzo maggiorato. Non esistono ricevute o qualsiasi tipo di tagliando.
L’incaricato al pagamento viaggia di solito in piedi, di fianco all’autista o  sul predellino del bus con la porta spalancata. pronto a raccogliere passeggeri.
Tu cacci i soldi, e quello se li mette in tasca.

ambato bus, ecuador

un pullman della cooperativa di Ambato nel suo splendore

Non essere troppo fiscale sugli orari

 

Così come è incerto il costo del passaggio, altrettanto lo sono gli orari di partenza. Sebbene ci sia soprattutto nel terminal di Quito un tentativo di comunicare quanto meno un’indicazione attendibile, la verità è che il bus parte quando è pressoché pieno. Il che significa comunque molto spesso. Anzi, essendoci diverse compagnie private a contendersi le stesse tratte, succede che 3 o 4 autobus partano in contemporanea per la stessa destinazione, mettendosi diligentemente uno in fila all’altro almeno fino all’uscita dall’area metropolitana. Una volta fuori Quito, beh… scatenate l’inferno!
A seconda degli umori o delle esigenze, gli autisti reinterpretano a piacimento i percorsi, aggiungono soste, saltano interi quartieri. La caccia al passeggero è l’unico driver che li motiva: appena scorgono sulla strada potenziali viaggiatori non esitano a spingere il freno e strombazzare il clacson per raccogliere dollari aggiuntivi. Si fermano per salutare amici e parenti, comprare le sigarette, persino tagliarsi i capelli.
Ovvio che a maggior ragione l’arrivo a destinazione è totalmente imprevedibile.
Certo, quasi tutti gli autobus che partono arrivano. E per come guidano è già un grande risultato. Asfalto che sembra carta vetrata, ripidi strapiombi ai lati della carreggiata vacche al pascolo la cui unica ragione di vita è attraversare la strada proprio nel mentre arriva un veicolo a motore, cime innevate che appaiono all’improvviso tra le nubi che obbligano a continue distrazioni. Fino a dieci anni fa non era nemmeno necessaria una patente di guida.
E poi, detto, tra noi, mica penserete che guidino sobri, no?

ecuador bus

bus che si approccia all’ennesimo stop sulla strada

Gli animatori del viaggio: i venditori ambulanti

Le molteplici soste lasciano i passeggeri in balia della interminabile processione di venditori ambulanti.
Figura leggendaria dei trasporti pubblici sudamericani, tanto che in anni recenti la decisione del governo di impedire ai venditori ambulanti di svolgere la loro umile professione è stata fortemente disapprovata dalla popolazione. Perché anche se fastidiosi e ridondanti, danno quel tocco di colore al viaggio – e alla vita – con le loro ceste piene di caramelle.
Bastano un paio di viaggi per imparare a memoria il loro discorso:

¿Cuánto te vale, cuánto te cuesta? Tan solo una monedita de 25 centavos que no te empobrece ni enriquece…”

ecuador bus venditore ambulante 1

un venditore di the freddo
(credits Juan Guerrero)

ecuador bus venditore ambulante 2
processione di venditori durante una sosta ad Ambato
(credits Juan Guerrero)

L’organizzazione degli ambulanti è straordinaria: in meno di due minuti riescono a far su e giù in una dozzina da un autobus che già contiene circa un migliaio di persone, in una processione interminabile.
Ognuno di loro ha la sua nicchia, la specializzazione: il venditore di gelati, poi quello di patatine e schifezze fritte, quello dell’acqua, quello della Coca Cola (nota: ma almeno questi due ‘servizi’ non potrebbero essere offerti dalla stessa persona?), la ragazza dei giornali, quello che ha sandwich al tonno, quello che ha le tortillas al formaggio, quello con cosce di pollo alla griglia.
Se rimane tempo salgono quelli dei servizi trasversali: quello che ha il miele d’acacia, quello che ha i DVD piratati, quello con il rimedio naturale per il fegato, quello con piccoli utensili per la casa.
Tutto molto bello e coreografico, anche perché concentrato in non più di dieci minuti. Da ripetere però per due, tre, dieci volte, a seconda dei paesi o dei ponti che si trovano lungo la strada.

I venditori ambulanti non sono l’unica tipologia di persona interessante che incontrerete in un viaggio da Quito a Cuenca, e tra le tante coreografiche figure con cui condividere una tratta ve ne sono almeno altre due degne di nota.

L’evangelizzatore

Solitamente gli evangelizzatori sono grassottelli, ben pasciuti e ben vestiti, con la camicia appena inamidata e un borsello di pelle. Sono grandi frequentatori dei trasporti pubblici sudamericani. All’inizio danno l’impressione di essere il classico pendolare che ha intenzione di farsi gli affari suoi durante il tragitto.
Niente di più sbagliato.
Già nel sedersi si presentano con la mano tesa, e il movimento dell’ascella libera un odore acido di nervosismo. (la camicia inganna)
La conversazione inizia da qualcosa di banale come la variabilità metereologica o la biodiversità dell’Ecuador, ma è solamente un pretesto per introdurre quello che è il suo interesse principale: un piano per evangelizzare gli Occidentali.
Per fare proseliti possono utilizzare parabole tratte dall’Antico Testamento, nomi biblici altisonanti come Geremia e un tono di voce mansueto e rilassante. Immagino che funzioni con persone inclini ai condizionamenti.
Non contraddirlo – potrebbe sgozzarti alla prima sosta – ma non lasciarti influenzare: solitamente ce la si cava con un Pater Noster (in latino), un impegno informale di futura adesione alla Chiesa Evangelica di Cristo Gesù un paio di dollari.
In cambio otterrai la garanzia che Mama Tungurahua non scatenerà l’inferno nelle prossime quarantotto ore.

La backpacker hippie borseggiata

Altra figura piuttosto classica sui bus sudamericani è il turista che viene borseggiato. Chiunque può essere scippato in autobus (è capitato anche a me) ma la backpacker hippie è diversa.
Nel 90% dei casi è una giovane donna, proveniente dal Centro Europa (tedesca o belga per lo più) e viaggia zaino in spalla. Una caratteristica distintiva è quella di addormentarsi immediatamente appena salita sul bus, come se non dormisse da secoli – e a volte devo dire che succede a noi hiker – e lasciare tutti i suoi averi in bella vista, sicura della bontà del prossimo e incantata dalla meravigliosa gentilezza del popolo sudamericano. Salvo poi esplodere in lacrime nel rendersi conto che gli stronzi ci sono ovunque.
Durante un viaggio da Quito a Riobamba ho potuto provare l’indimenticabile esperienza di affrontare questa tipologia di viaggiatore. Sono certo che brami dalla voglia di sapere come è andata.
Mi ero appisolato durante l’ennesima sosta, incapace di muovermi dal seggiolino per la presenza di un passeggero taglia forte al mio fianco, quando dopo una ventina di minuti mi sono accorto che lo stop era davvero troppo lungo anche per le abitudini ecuadoregne.
Togliendo le cuffie sento che c’è una discussione in corso tra la backpacker hippie di turno e l’autista del bus.
La turista è in botta totale; fuma una sigaretta dietro l’altra, come un condannato a morte prima del patibolo. La capisco: perdere i documenti di identità e il denaro quando stai viaggiando sola lontana da casa è più di un seccante contrattempo.

D’altronde come molti altri passeggeri ho una poco empatica fretta di proseguire (la mia sensibilità non era ancora così accesa come oggi).
La ragazza viene invitata a scendere in attesa della polizia e subito intorno a lei si forma un capannello di curiosi: tutto il gruppo di venditori ambulanti più una decina di passeggeri.
Niente, non ci muoviamo. Scendo e con fare scientificamente arrogante faccio all’autista:
‘Pensiamo di fermarci qui a dormire o ripartiamo?’
E quello: ‘Poveretta, le hanno rubato il borsello.’
E io a lui: ‘Ma che c’aveva dentro di così importante oltre ai documenti?’
‘No no, i documenti per fortuna li aveva nello zaino. Aveva venti dollari.’
‘VENTI DOLLARI?? Venti dollari americani? O c’è una valuta locale che si chiama dollaro di cambio molto superiore?’
E lui, sempre sorridendo: ‘Venti dollari americani.’
Non mollo. “E non c’erano che so, oggetti come anelli o foto di famiglia?’
Mi osserva con sguardo liquido.
‘No. Solo i venti dollari.’
Faccio il giro del bus, dove nessuno può vedermi: tiro fuori due pezzi da dieci, corro tutto trafelato verso il gruppo e con fare scenico poso i venti dollari sul palmo della ragazza sgomenta.
‘Ho trovato i soldi per terra a pochi metri da qui. Erano interessati solo al portamonete.’ – le dico prendendola leggermente per i fondelli.
Lei prende i 20 dollari ma non basta. Vuole aspettare la polizia per cercare i colpevoli: questione di principio, dice. Non c’è mai un poliziotto d’onore quando serve.
Porgo altri cinque dollari all’autista chiedendo di partire lasciandola a terra.
In tutto mi costa venticinque dollari ma alla fine –  tra i segni di approvazione di tutti i passeggeri – riusciamo a ripartire.

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