Cappadocia segreta: la magia di Ihlara Valley
Durante un viaggio in Cappadocia, vale la pena sconfinare nella vicina Anatolia Centrale e dedicare un giorno alla scoperta di un luogo di bellezza assoluta e dal grande fascino storico: Ihlara Valley. Circondata da aspre e ripide scogliere, la Valle di Ihlara è un lussureggiante giardino che si sviluppa seguendo il corso del fiume Melendiz. Una semplice passeggiata di 10 chilometri attraverso un luogo dove natura, cultura e religione creano un connubio difficile da trovare nel resto del mondo.
Proprio come un tappeto della tradizione persiana, Ihlara Valley cambia colori a seconda dello stato d’animo del pellegrino che la visita, ma a tutti lascia un senso di magica scoperta e pace interiore.
Trekking Summary
Ihlara Valley, Anatolia Centrale
Start:
Ihlara
End:
Yaprakhisar
10 km (one way)
D+: 90 metri
FACILE
Come arrivare ad Ihlara Valley
Ihlara Valley (Ihlara Vadisi in turco) si trova in nel Distretto di Güzelyurt, a una quarantina di chilometri dal capoluogo dell’Anatolia Centrale, Aksaray, e a 80 chilometri circa dal più famoso e turistico villaggio di Göreme.
L’aeroporto di Kayseri si trova a circa 150 chilometri.
Formata in era preistorica all’interno di uno stretto canyon – poche decine di metri in alcuni punti – la valle si sviluppa per 12 chilometri tra i villaggi di Ihlara e Selime, seguendo il corso del fiume Melendiz.
Oltre alla stordente bellezza della natura, è la sua importanza storica a rendere questo luogo un patrimonio della cultura bizantina. Fin dal 7 secolo avanti Cristo Ihlara Valley ha ospitato insediamenti di monaci bizantini che costruivano nel loro abitazioni e luoghi di preghiera nel tufo delle pareti del canyon, depositato dalle numerose eruzioni del Monte Hasan e levigate dall’acqua.
la mappa di Ihlara Valley
L’autobus ci lascia nel villaggio di Ihlara proprio mentre la pioggia comincia a cadere con fare lento, quasi annoiato. Il cielo è coperto, il sole un disco annacquato che registro distrattamente dietro la coltre grigia, a suo modo rassicurante.
A parecchi chilometri dalle turistiche esibizioni volanti di Göreme, qui lo scenario è bucolico, fatto di volti duri segnati dalla fatica, di mani sporche che offrono frutta e spezie, di dolcissimi cani nomadi ma ben nutriti. I cani del popolo turco.
Il paese è arroccato sul fianco del canyon, più in basso si intravede la lunga striscia di vegetazione che segue il fiume Melendiz, la cui acqua rende ricca e verde tutta la vallata.
Sto facendo da guida ad alcuni turisti che sono oramai compagni di viaggio, e con loro proseguo verso l’ingresso del parco, assieme ad un gruppo di persone di varie provenienze, per lo più di religione musulmana. Alcune donne portano il niqab, gli occhi attenti ed espressivi concentrati sui passi da compiere.
Una vallata piena di magia
Dopo aver acquistato il biglietto e superato la consueta rigida impostazione turca, quasi come se la natura fosse un presidio militare, mi allontano dal gruppo per avvicinarmi alla terrazza dove alcuni local offrono caffè turco.
Sotto la pioggia gentile godo della vista del canyon dall’alto; mi lascia senza fiato proprio come mi sempre mi succede di fronte a questi solchi profondi scavati nella roccia, dal più famoso Grand Canyon ai meno conosciuti canyon islandesi. Le pareti sembrano tagliate a colpi d’ascia per quanto la superficie appare liscia e diritta, e si tuffano in verticale sul fondo della gola per cento metri o forse più. Nonostante la fitta vegetazione, è ben visibile il fiume Melendiz proprio al centro della vallata e il sentiero di terra chiara che lo affianca. Anzi a guardare bene i sentieri sono due, uno alla sinistra e uno alla destra del corso d’acqua.
Chiudo gli occhi per meditare e tentare quanto possibile di spersonalizzarmi dall’Io. Come Siddartha vorrei essere solo senso e non pensiero. Con l’udito raccolgo le voci dei turisti sul fondo della valle, il latrato di un cane, lo scorrere dell’acqua. L’olfatto registra l’odore gradevole della pioggia e quello più disturbante del caffè.
il primo sguardo sul canyon
Le voci divertite dei miei compagni mi riportano nel presente.
Scendo i gradini di legno osservando la grossolana scritta bianca posizionata all’inizio del trailhead – forse a rendere più instagrammabile il tutto? ma per fortuna la sensazione sgradevole luogo turistico mi abbandona subito, non appena mi immergo sotto le fronde sul lato sinistro del fiume. Il sentiero è facile da percorrere nella morbida terra ricoperta di povere di tufo. Penso che potrei camminare per sempre, senza interruzioni, su uno sterrato così delicato ed accogliente.
Scambio la posizione molte volte con gli altri, per dialogare con tutti e conoscerli meglio. Per me, così abituato a camminare da solo è un faticoso ma necessario allontanamento dalla comfort zone. In realtà sono molto affascinato dalla personalità di alcuni di loro: è bello condividere le nostre emozioni raccontandoci il percorso che ci ha portato fin qua. Parliamo a voce bassa, sussurando quasi il nostro entusiasmo e l’intimità della condivisione.
Avanti a noi una coppia di ragazzi turchi: camminano per mano, lui elegante come se stesse andando ad una cerimonia e lei con i capelli raccolti da un chador verde smeraldo, bellissimo nonostante dilaghi di oscurantismo ai miei occhi.
Sia a destra che a sinistra si aprono grotte nelle pareti del canyon: luoghi di preghiera dei monaci bizantini che abitavano questa zona molti secoli fa.
Un ristoro sull’acqua
Dopo mezzora di cammino il letto del Melendiz si allarga e una serie di palafitte proprio a pelo d’acqua offrono ristoro dal sole o, nel caso di giornata, riparo dalla pioggia. Gatti, cani e anatre si contendono gli spazi con i più improbabili turisti, alcuni arrivati in comitiva e già stanchi di quell’eccesso di magia selvaggia bramano di tornare nellla Cappadocia dei quad, dei cavalli, degli hotel di lusso scavati nella roccia. Altri portano sul volto e sulle mani la fatica della vita di campagna e si godono una spremuta di melograno e la pace silenziosa del luogo. Il tutto sotto lo sguardo vigile della enorme bandiera turca che si staglia, rossa e opprimente, proprio al centro del fiume.
le piattaforme sul fiume Melendiz
L’antico villaggio di Belisirma
Riprendiamo il trekking e dopo un chilometro giungiamo al caratteristico villaggio di Belisirma, la fine dell’escursione per i tour organizzati. Qui ritroviamo le piattaforme galleggianti sull’acqua e un paio di ristoranti che offrono specialità locali.
Complice la giornata nuvolosa e l’inizio della stagione autunnale, le attività commerciali appaiono malinconicamente abbandonate, se non fosse per alcune donne che vendono spezie, datteri e frutta essiccata sulla riva del fiume e riempiono di colore un dipinto che da solo sarebbe piuttosto anonimo.
Alcune auto attendono gli escursionisti che hanno terminato la loro gita a piedi dopo soli 4 chilometri, tra cui la giovane coppia turca che avevamo superato da poco.
un chiosco colorato sulla strada principale di Belisirma
In direzione di Yaprakhisar
Per me inizia la parte più interessante del trekking, quella meno battuta, che porta all’uscita settentrionale della valle, nel villaggio di Yaprakhisar. Faccio un rapido giro di consultazione con il gruppo: tutti sono entusiasti all’idea di proseguire nella parte meno esplorata della valle.
Attraversiamo il ponte di pietra per portarci sulla sponda orientale del fiume. La strada è in leggera salita e costeggia l’abitato di Belisirma fatto di case perlopiù diroccate, senza infissi alle finestre, bello e intrigante nel suo selvaggio abbandono.
Devo ritrovare il sentiero che secondo il GPS punta deciso verso nord e per farlo ridiscendo verso il fiume, rimanendo sotto un costone di roccia che mi sovrasta e chiude tutta la valle celandomi ogni indicazione su quello che mi aspetta.
Ora che la traccia del cammino è impossibile da perdere, lascio andare avanti il gruppo per godermi la solitudine. Sul sentiero non c’è nessuno, anche se a volte percepisco la presenza di persone al lavoro nella vegetazione: una piccola nuvola di fumo, un falò improvvisato per scaldare il tè mi conferma che non sono mai così solo come desidererei.
Il canyon si è decisamente allargato ora, non è più nemmeno un canyon ma una ampia valle verde incorniciata da due creste rocciose. Raggiungo un spiazzo verde sotto alcuni alberi, dove il fiume fa una esse che crea una pozza di acqua immobile. Scalzo entro nell’acqua fresca fino ai polpacci. Mi siedo sull’erba, con i piedi nell’acqua, a mangiare una banana mentre osservo il panorama. Quando sarebbe bello fermarsi a campeggiare qui, come un Samana del bosco o un monaco greco!
un luogo magico per campeggiare
La moschea nella caverna
Eppure continuo ad essere affascinato ed attirato da quei buchi scuri nel tufo, in alto, caverne che sembrano più tunnel dell’orrore che antichi luoghi di preghiera.
Una freccia sul sentiero punta verso l’alto e indica ‘Kaya Cami’ . Una moschea dunque, forse rubati ai monaci e riconvertita durante la dominazione ottomana.
Una delle ragazze del gruppo è rimasta indietro ad aspettarmi e la invito con piacere a condividere l’esplorazione.
Saliamo sulla ripida parete aiutati da alcuni gradini intagliati nella roccia e ricoperti da polvere di tufo; una rudimentale balaustra di legno aiuta a non scivolare. Arrivo per primo di fronte all’ingresso della caverna, un buco di forma ovale alto poco più di un metro, che mi costringe a fare un po’ di bouldering per issarmi dentro.
Aiuto la mia compagna a salire con me nella caverna.
Pensavo di aver bisogno di qualche secondo per abituare la vista al buio della caverna, ma lo spazio è ampio e sorprendentemente luminoso. É una grande camera di 6 metri x 6 circa, con una altezza di almeno 3-4 metri. L’ambiente è diviso in due, proprio come una moschea di città. Nella prima ‘stanza’ ci si toglie le scarpe, per salire nella seconda parte della camera, rialzata di un buon cinquanta centimetri, dove numerosi tappeti indicano l’area destinata alle preghiere. I tappeti sono colorati, di foggia moderna, a dimostrazione del fatto che la moschea è utilizzati anche oggi.
Rimaniamo qualche minuto a ginocchia conserte, in silenzio. Chiudo gli occhi per sentire tutta la forza evocativa del luogo.
l’ingresso della Moschea
la zona di preghiera
Un nuovo amico sul sentiero
Il silenzio ovattato della grotta viene rotto dal latrato di un cane sul fondo della valle. Lei mi sfiora delicatamente la mano per farmi capire che è il momento di uscire e raggiungere gli altri. Per un attimo affiora in me il fastidio di dover rendere conto a qualcuno dei miei tempi, ma lo cancello con forza dalla mia testa. È bello essere qua insieme.
Ritornati sul sentiero principale le chiedo di proseguire verso nord per raggiungere il resto della comitiva, mentre io mi dirigo in direzione opposta, come trascinato da un richiamo, verso il punto dove ero entrato in acqua.
Il cane è distratto a guardare l’acqua, forse ha addocchiato un pesce, ma appena lo chiamo si corre dalla mia parte, senza indugio. Si strofina alla mia gamba come se ci conoscessimo da sempre, poi si sdraia ai miei piedi a guardare in direzione del fiume. Anche io mi siedo sull’erba, morbida e accogliente. Mi sento vicino a questo animale, nomade e paziente, profondamente libero. Vorrei essere anche io così.
Riparto dopo qualche minuto per percorrere in silenzio gli ultimi tre chilometri fino a Yaprakhisar, con il cuore pieno di meraviglie. Divoro rapidamente il tratto mancante, cercando di non correre troppo per registrare tutte le bellezze che i sensi hanno registrato.
Trovo il gruppo ad aspettarmi proprio sul ponte che sancisce la fine della valle di Ihlara e del nostro trekking pieno di significati e scoperte.
nuove amicizie
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