Clachan Mànhais: il sentiero che non esiste
‘Dormii nello shieling a nord, nel tepore asciutto della mia tana, felice di aver trovato quegli antichi ripari in mezzo all’atavica distesa della brughiera. Quella notte fui svegliato solo una volta, da rochi colpi di tosse nelle vicinanze: sbuffi d’aria da polmoni di cervo.’
E’ in ogni esploratore “il sentiero che non esiste”. Un sentiero solo immaginato, attraversato da desideri e nostalgie, un percorso lontano dalla realtà dove potersi perdere, per potersi poi amabilmente ritrovare.
Dal piccolo paese di Brenish, un gruppo di case sparpagliate nella brughiera occidentale di Lewis, isole Ebridi esterne, una strada bianca porta a sud in direzione dell’altura di Griomabhal, 500 metri sul livello del mare. Mi incammino molto presto con lo zaino leggero: contiene solo il sacco a pelo, il piumino, qualcosa da mangiare e un paio di litri di acqua. Tutto il resto di cui avrò bisogno ce l’ho addosso. Non ho intenzione di trascorrere la notte all’addiaccio, ma potrebbe succedere.
La luce pallida si solleva sulla costa atlantica, mentre dall’interno dell’isola il vento trascina con sé i soliti fastidiosi presagi di pioggia.
Abbandono l’ultimo residuo di civiltà proprio in corrispondenza di una ansa che mi nasconde l’oceano, e mi incammino sulla torba in leggera salita. Non sono qua per l’Atlantico, non questa volta. Sono alla ricerca di un qualcosa che non c’è: Clachan Mhànais.
Abbiamo la certezza che solo allontanandoci possiamo vedere più nitidamente.
Cosa può esserci di più vicino al mood di questo blog di un sentiero che nessuno conosce, su un arcipelago disperso nel nord della Scozia, così difficile da raggiungere a livello logistico?
Prima di partire per le Ebridi esterne ho cercato di raccogliere su internet più informazioni possibili, senza molta fortuna per la verità. Tutto quello che sapevo era nelle pagine del libro di Robert MacFarlane, ‘Le antiche vie. Un elogio del camminare’ e in una breve descrizione della storia del sentiero scaricata dal sito di un fotografo scozzese che vive da quelle parti.
Il sentiero dei sassi di Manus non è altro che una pista utilizzata dai contadini per raggiungere i loro shieling, i ricoveri di montagna di pietra usati per secoli durante la transumanza delle pecore in altura. A causa della presenza nel terreno di torba, elastica e fangosa, che tende ad inghiottire e far scomparire le piste che la attraversano, la maggior parte dei sentieri che percorrevano l’area erano tracciati con tumuli di sassi o pietre disposte in verticale (un po’ come gli omini di sassi tanto cari agli scout nelle gite moreniche).
Questo era necessario soprattutto nelle giornate di nebbia e pioggia, poiché i segnavia di sassi aiutavano ad evitare i tratti paludosi e ad arrivare incolumi e asciutti al ricovero notturno. Oggi la cultura della pastorizia è praticamente scomparsa e il taglio della torba è stato meccanizzato, dunque questi sentieri stanno scomparendo dal territorio – e dalla memoria collettiva.
Manus era un contadino vissuto sull’isola all’inizio del Novecento che possedeva un podere in zona e aveva tracciato il sentiero in modo che la sua famiglia potesse andare e venire dagli shieling senza pericoli.
In fondo sapevo più o meno tutto quello che c’era da sapere, tranne l’itinerario. Non una cosa da poco, ma ero pronto a perdermi nel guano delle sule e a dormire sulla morbida torba nera.
Come cercare un sentiero di sassi in un promontorio fatto di enormi sassi, che affiorano dalle brughiera in mille forme diverse e dimensioni diverse? Come aveva anticipato MacFarlane, il Clachan Mhànais non è una vera e propria traccia continua. È piuttosto l’indicazione di una direzione da seguire.
Mentre salgo nella brughiera punteggiata di pozze d’acqua, la torba lascia progressivamente spazio all’erica ispida e tagliente, e alla roccia. Gneiss lewisiano, il più antico suolo roccioso d’Europa, levigato e striato dalle ere glaciali. La vetta del Griomabhal è piuttosto imponente e, complice il grigio manto delle nuvole, incute un certo timore. In lontananza vedo un gruppo di cervi che si rincorrono giocosi nelle paludi. Alla base del versante nord della collina entro nella valle dei sassi e, grazie al GPS, scorgo il piccolo lago Nero, Dubh Loch, indicato da MacFarlane.
Ora sono circondato da migliaia di sassi, che affiorano dalla brughiera in mille forme e dimensioni diverse.
In maniera piuttosto sorprendente, proprio mentre sto per togliermi lo zaino dalle spalle per bere un sorso d’acqua, vedo il sentiero. Si materializza davanti a me un qualcosa che solo tra le pagine di un libro avevo davvero creduto esistesse. I tumuli sono distanziati in modo irregolare, e puntano verso l’alto in maniera decisa. Sono semplici da seguire. La salita verso la cima del Griomabhal richiede più di un’ora, è piuttosto insidiosa in certi passaggi in cui lo gneiss è scivoloso.
Sul valico, prima di cominciare la discesa, mi godo l’immensità dello spazio selvaggio che mi circonda – le foreste di cervi di South Lewis e la brughiera costellata di picchi e laghi, un labirinto di scarpate. Immagino di essere l’unico uomo nel raggio di chilometri.
Seguendo una fotografia aerea scaricata da internet, comincio a scendere verso sud per cercare la vallata dove dovrebbero trovarsi gli shieling di Manus.
So già dal libro di MacFarlane che devo cercare dei monticelli ricoperti dalla vegetazione e non delle vere e proprie casette di pietra. Alcuni shieling sono parzialmente crollati, altri invece sono ben conservati e ci si accede da bassi ingressi architravati a livello di terreno. Devo tenere la testa piegata all’interno perchè non superano il metro e mezzo di altezza. Sono bui e freddi, ma danno in qualche modo un senso di protezione.
Sono le due di pomeriggio, ho percorso quasi venti chilometri. Mi sento bene e ho tutto il tempo per rientrare nella civiltà.
Prima, mi accomodo all’interno di uno dei ricoveri, quello che ha più luce e leggo dal diario di MacFarlane:
‘Dormii nello shieling a nord, nel tepore asciutto della mia tana, felice di aver trovato quegli antichi ripari in mezzo all’atavica distesa della brughiera. Quella notte fui svegliato solo una volta, da rochi colpi di tosse nelle vicinanze: sbuffi d’aria da polmoni di cervo.’