Trekking nel Finnmark: il canyon di Alta
Durante il lungo viaggio da Tromsø a Nordkapp si entra in un’area in cui le condizioni climatiche estreme hanno plasmato il territorio, severo ma bellissimo. È il Finnmark (o Finnmǫrk, letteralmente il bosco dei Sami), dove fin dall’età della Pietra le popolazioni indigene erano solite ritirarsi durante il lungo inverno artico. Questa contea è la più settentrionale della Norvegia, e pur coprendo una superficie maggiore della Danimarca, è anche la sua regione meno abitata.
I numerosi chilometri di costa sono frastagliati da grandi fiordi circondati da pini e betulle, mentre nella parte continentale la metà del territorio è al di sopra della linea degli alberi.
Si tratta del grande altopiano di Finnmarksvidda, che si trova ad una altitudine compresa tra i 300 e i 500 metri ed è tagliato nella sua sezione occidentale dal fiume Alta, che prima di gettarsi nel mare del Nord scava uno dei più grandi canyon d’Europa.
Per visitare il Finnmark la cosa migliore è pernottare una notte nella città di Alta, che con i suoi ventimila abitanti è la sua città più popolosa. Alta si trova nella parte più rigogliosa e ricca di vegetazione del Finnmark ed è un intricato mix di culture e lingue diverse: Norvegesi, Sami e Kven.
Se sei una persona freddolosa, qui troverai davvero condizioni difficili. Fa freddo ad Alta, decisamente molto freddo, anche d’estate.
Next to nothing, come dicono i local. Basta infatti incamminarsi a piedi per pochi minuti dal centro urbano per sentire il silenzio più maestoso mai provato.
renne nel fiordo di Varanger
Alta Canyon
Anche se hai poco tempo da dedicare all’esplorazione di questa remota zona della Norvegia, non puoi di certo perderti una visita al Canyon di Alta, o Sautso in lingua Sami. Ci sono varie possibilità di esplorare il canyon: d’estate, quando la portata del fiume è imponente, è possibile navigarlo in barca, ascoltando le storie della pesca ai salmoni che risalgono il fiume mentre le pareti del canyon si fanno via via più imponenti; oppure in bici partendo direttamente dalla centrale elettrica di Alta.
O naturalmente a piedi, come ho fatto io e come ti raccomando di fare!
Una lunga ma facile escursione di 12 km (solo andata, da considerare il ritorno) in mezzo ad uno scenario primordiale, inospitale nel freddo perenne dell’inverno artico in cui le renne diventano le uniche dominatrici del palcoscenico, ma soave d’estate nel sospiro pesante del vento del Nord e nella brughiera paludosa in cui il cammino è gentile.
Start:
Gargia Lodge
End:
Alta Canyon Viewpoint
12 km
4 ore
D+: 150 mt
FACILE
Come raggiungere il trailhead
Da Alta si procede in direzione sud ovest sulla E45 fino al bivio con la strada che porta al villaggio di Gargia e che costeggia il fiume Alta. Arrivati al Gargia Lodge, si trova un ampio piazzale dove termina la strada asfaltata. Da qui prosegue una strada sterrata in salita, in cui procedere con estrema cautela a causa delle pendenze e delle buche, soprattutto se non si ha una vettura 4×4. In molti periodi dell’anno quest’ultimo tratto può essere chiuso al traffico (c’è una sbarra all’inizio della strada) o non praticabile. Dopo circa 5 chilometri, uscendo dalla foresta, si arriva su un plateau brullo e spazzato dal vento dove è possibile lasciare l’auto. Da lì è chiaramente visibile l’inizio del sentiero per il canyon che comincia sulla sinistra rispetto alla strada che prosegue inoltrandosi nel Finnmark: una sorta di passerella tracciata nella brughiera.
È possibile in ogni caso parcheggiare al Gargia Lodge e proseguire a piedi nello scenario fiabesco della foresta (aggiungendo dunque circa 5 chilometri per tratta)
Gargia Lodge, dove è possibile lasciare l’auto
Il trekking
È quello che faccio io in un pomeriggio di agosto, e cammino con piacere all’interno del bosco: sento il vento imperioso frusciare tra le betulle mentre schizzi di luce rimbalzano tra i tronchi. Percepisco movimento nella foresta: renne dalla pelliccia scura o alci? È difficile rendersene conto nel caleidoscopio di elementi multicolore.
Andando di buon passo ci impiego un’ora a lasciarmi alle spalle la linea degli alberi: l’ultimo tratto la salita si fa decisamente più impegnativa fino a quando, dopo una curva, si spalanca davanti a me una larga sella di pietra ed erba ed uno spiazzo con un’auto parcheggiata.
Una volta raggiunto l’altopiano sono due le cose che mi colpiscono: una desolazione primitiva ma piena di significato e la presenza di numerose croci di legno disseminate tra le rocce.
Quando arrivo al trailhead pesanti nuvole nere si arrampicano nel cielo da nord, mentre alle mie spalle il sole si mantiene a mezza altezza. Ad occidente una roulotte si sostituisce a Gesù nella posizione mezzana tra due croci, a disegnare una immagine biblica di estrema potenza. Un Golgota artico.
il trailhead sul Finnmarksvidda
Una cascata a metà percorso
La prima impressione è una fredda solitudine: mi avvicino al camper per cercare tracce di vita ma lo trovo spettralmente abbandonato a sé stesso.
La pista per il canyon è semplice da seguire nella prima parte: è una strada di sassi molto larga che perde di quota per qualche centinaio di metri.
Ed è un bene: perché così facendo ci sottrae alla furia del vento che spazza l’altopiano.
Dopo due chilometri appare il primo cambiamento di scenario: una laguna i cui contorni ricordano il muso di un levriero, circondata da un terreno scuro e lavico, dove funghi che paiono usciti da un fumetto punteggiano di rosso la macchia scura.
Lasciata la laguna alle spalle il sentiero si fa più stretto e fangoso e decisamente più interessante. Dopo pochi minuti, un bivio sulla sinistra (GPS 69°46’4103 N, 23°37’2457 E) permette di arrivare ad un canyon laterale dove un piccolo rigagnolo d’acqua scatena una prorompente cascata che salta una cinquantina di metri più in basso.
Scorgo sul bordo roccioso del salto d’acqua un felino intento a riflettersi nell’acqua, come lui mi godo qualche momento di inazione e mi godo semplicemente il momento presente nell’acqua che cade.
la cascata a metà circa del trekking
L’arrivo sul bordo del canyon
Riprendo il sentiero che procede ancora in leggera discesa su passerelle di legno posizionate per evitare i tratti più paludosi: in alcuni punti è comunque impossibile aggirare il fango (meglio dotarsi di scarpe da trekking impermeabili).
Il paesaggio, anche per le nuvole che hanno oramai rabbuiato il cielo, diventa ancora più mozzafiato.
L’ultimo tratto prima di arrivare al bordo del canyon è quello tecnicamente più impegnativo perché richiede un po’ di attenzione per attraversare due fiumi passando su rocce affioranti (o dovendo guadare a seconda della portata dell’acqua).
Arrivo a poche decine di metri da quello che secondo il GPS è il margine del canyon e ancora non vedo nulla. Mi trovo al confine con la linea degli alberi che mi nascondono alla vista cosa ci sia oltre. In realtà non so bene cosa aspettarmi perché non ci sono molte foto in rete. I canyon mi affascinano moltissimo sin da quella volta che una navetta mi depositò proprio sul rim del Grand Canyon, nella luce di creta del tramonto. Da allora ne ho visti molti, e ogni volta la mente tende a creare un confronto con quell’immensa scogliera di roccia rossa che si getta nella valle del fiume Colorado.
Comincio a scendere a zig-zag tra gli alberi seguendo una traccia terrosa ma per fortuna asciutta. Pochi minuti e la gola del canyon si spalanca davanti a me lasciandomi senza respiro e con un senso lisergico di vertigine. Un passo in più e finirei 200 metri più in basso.
I due bordi hanno una geometria ipnotica, una prima parte risale dalla riva verde del fiume in modo quasi dolce, con una pendenza che sembra scelta apposta a 45°. Poi la roccia si fa verticale, arcigna e invalicabile. Sul lato dove mi trovo c’è molta più vegetazione e la parete è verde quasi nella sua interezza, l’altro lato della gola è più brullo, sembra inarrivabile e inesplorato.
L’acqua scorrere placida di sotto, nel silenzio assoluto in cui anche il vento sembra essersi quietato.
Sì, l’Alta Canyon merita decisamente una deviazione.
il punto panoramico sull’Alta Canyon
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